Cinquanta anni fa l'ultima fuga di Coppi
di Mario Fossati
da "La Repubblica", 01/01/2010
FAUSTO Coppi, atleta del secolo. Nel ciclismo lo è stato. E poiché il ciclismo è gran parte dello sport europeo e, quindi, mondiale, nonché la magna pars dello sport nazionale, è giusto che così sia.
Di Fausto Coppi sono stato amico e ammiratore: secondo Gino Bartali, "un tifoso, però non dei peggiori". Dalla scomparsa di Fausto (2 gennaio 1960) i giorni hanno rincorso i giorni: e il tempo è trascorso con una velocità superiore a quella di un Coppi ben rodato. Del clan novese del campionissimo, che faceva capo a Cavanna, ho conservato qualche conoscenza. Incontro, spesso, Ettore Milano, il luogotenente, l'attor giovane della compagnia. E, all'opposto, raramente, Andrea Carrea, occupatissimo a rinfrescare, per tasselli, la sua casa. Vedo di sfuggita i figlioli di Coppi, Marina e Faustino. Con Milano, lo scudiero fedele, mi capita di rievocare le luci e le ombre del ciclismo perduto. Per evitare che il passato diventi più reale del presente, con il rischio di andare entrambi alla deriva, Milano ed io, ricordiamo i "giorni che furono", con molta misura. Conveniamo. Quel ciclismo dell'immediato dopoguerra, con Gino I o Ginettaccio Bartali, e il terzo uomo Magni e Bobet, Van Steenbergen, Koblet, Kubler, Van Looy, Anquetil eccetera eccetera, è inimitabile. E credo che tale rimarrà.
Il ciclismo degli anni Cinquanta era appena uscito da un Medioevo fatto di violenti chiaroscuri e dallo sbaraglio di una guerra sciagurata. Bartali, che si era ritrovato nel suo nido (la Legnano) l'uovo del cuculo (Coppi), con tutto il fardello che si porta appresso una rivalità nata in casa. E Coppi che, vinto il 9 giugno del ' 40 all'Arena di Milano il suo primo Giro d' Italia, aveva ascoltato l'indomani 10 giugno, con il fiato sospeso, lui ventenne "militar soldato", la dichiarazione di guerra, che annullava economicamente l'exploit. Un'esperienza, per Coppi e Bartali, amarissima.
Nel ' 40, Coppi disponeva, infatti, di un patrimonio atletico praticamente inutilizzabile. Bartali, dal canto suo, si sentiva bloccato, nella fase terminale della carriera, come un monumento. Il Coppi che, il pomeriggio del novembre 1942, in una Milano tesa da un allarme aereo, tenta assolutamente impreparato - e con un costume e un attrezzo (la bicicletta) inadeguati - il record dell'ora del francese Archambaud, è un'immagine tematica di uno sport, a dir poco, disperato. "Il rintocco della campana che mi segnalava il vantaggio, mi bucava la testa, aveva un timbro doloroso. Finii in preda ad una nausea da fatica: e con la speranza di una licenza-premio subito disattesa. Fu un record dell'ora riuscito e maledetto". Il reggimento di Fausto venne trasbordato in Africa. Lo distrusse un combattimento contro i carri armati. Coppi era un "prisoner of war". Infine la riapparizione del campione, nel Sud- Italia, quando nessuno sapeva più se fosse morto o vivo. Era divenuto l'attendente dell'inglese Towell. Un bel giorno il maggiore lo liberò ("come on, come on, campione"). E il campione risalì lo Stivale, pedalando, con quattro banconote racchiuse fra la pelle e la maglia: e per un breve tratto, stipato in un camion, che si produrrà in un drammatico, sanguinoso fuori strada. Finalmente giunse a Tortona. Lì incontrò il fratello Serse (che gli morrà in corsa). E con un catorcio di bicicletta risalì la collina di Castellania, che di bello non ha che il nome. Abbracciò la vecchia madre, in cortile.
Ebbene, nel ' 46, a condurre fuori il ciclismo dal Medioevo di cui sopra, è stata la stravolta potenza di Fausto. Giri e Tour, dominati: Giro più Tour nello stesso anno, scontri con Bartali and company al calor bianco. Voglio dire che Coppi ha sepolto la tetra fatica, il ruvido automatismo. Una rivoluzione di medie, di ritmo, di metodologia di allenamento ancora da scoprire e con una medicina sportiva all'abc, alla cui porta il campionissimo invano bussava. Uno snob ha scritto che Coppi aveva addosso il fascino della sfortuna. Aveva i muscoli del fenomeno, il cuore e i polmoni dell'atleta fuori dal comune. Le ossa, invece, si spezzavano ad ogni urto, ad ogni caduta, quasi fossero di cristallo. Coppi faceva titolo: Coppi era il ciclismo.
Sul filo dei quarant' anni, si era innamorato di una bella donna. I giornalisti mondani si infiltrarono nella nostra schiera di adepti segretamente appassionati, sfruttarono il provincialismo e l'ipocrisia di un Paese bigotto. E gli rivoltarono contro il suo stesso pubblico. Giulia, l'amata, era la moglie di un medico. L'autorità ritirò il passaporto a Coppi, facendo ridere mezzo mondo. Il figlio Faustino nacque in una clinica del Sudamerica. Nel ' 57 e nel ' 58 della sua leggendaria potenza era rimasta una traccia. Fausto mascherava lo sforzo con lo stile inarrivabile. Vinse ancora. Il gioco si era fatto pericoloso: non addolciva le tabelle di marcia: lavorava duro: era un fachiro il mattino e un gentleman da high-society la sera. Gianni Brera ci ammoniva: "Voi, i suoi amici, gli dovete chiedere di smettere. L'amicizia - ripeteva - pretende che gli si dica di smettere".
Nell'intervallo dalla sua ultima caduta si inseriva una di quelle successioni di avvenimenti su cui si fonda il destino. Bobet rifiuta un invito rivoltogli dagli amici dell'Alto Volta per una partita di caccia, che prevedeva una piccola kermesse per onorare gli anfitrioni. Gemignani gira l'offerta a Coppi, che accetta. Si rientra l'antivigilia di Natale. Coppi accusa le prime febbri a Santo Stefano: è malaria perniciosa, non individuata a tempo dai medici italiani. Un errore bestiale, con una pastiglia di chinino lo avrebbero salvato. Venne ricoverato all'ospedale di Tortona: alle 8.45 del 2 gennaio Coppi spirava. Ricordo il pomeriggio d' inverno del ' 60, il corteo che riportava Coppi a Castellania, alla sua casa natale. E la moltitudine commossa che, lenta, si incamminava. Era un pomeriggio luminoso. Sulla campagna regnava un grande silenzio. Gli occhi di tutti si alzavano con malinconia verso il povero e piccolo cimitero, a cavallo della collina di San Biagio. Erravano lontano sulle valli della Bormida e del Po e le ondulazioni del Novese, su cui il sole aveva steso un velo di bruma. Invecchi: ti ripieghi su te stesso e pensi al passato. Fausto è stato davvero, più che una storia ciclistica, il campione più grande e il più sfortunato.