In un serrato duello fra la tempesta Coppi sconfigge il grande avversario
di Dino Buzzati
da "Corriere della Sera", 3/6/1949
Coppi taglia vittorioso il traguardo a Bolzano.
Dal nostro inviato speciale.
Bolzano 2 Giugno, Notte.
Laddove gli abeti stavano per finire – Più in alto i nudi prati con frane violacee, l’albero già visibile del Passo di Rolle, più su ancora il piedistallo formidabile del Cimon della Pala immerso in un tumulto fosco di nubi – Bartali che conduceva il gruppo provò a scattare. Lo vedemmo dall’alto. Dondolò sul sellino, balzò in avanti alcuni metri, alla curva del tourniquet Voltò adagio la sua faccia diffidente e furba. Mollavano quelli di dietro? Per qualche istante con la coda dell’occhio percepì che la strada immediatamente alle sue spalle era rimasta sgombra e in quel mentre sentì l’improvviso tepore del sole che usciva tra due neri nembi. Poi, subito, ebbe la sensazione che un’ombra gli si attaccasse dietro, un’ombra, due, tre, quattro che lo pedinavano. Guardò. Ci potevano essere dubbi? Era Coppi. Ma vide anche Pasotti, Ronconi, Rossello, Cottur, Astrua.
Il grido d’allarme.
Forse pensò: “questo piccolo Pasotti tiene però sulle montagne! Un po’ fragile ancora. A dir la verità troppo ragazzetto: ma che finisca per diventare mio successore? E adesso? Devo insistere? Impossibile che tutti restino attaccati l’uno all’altro, dopo 1800 metri di salita. Ma forse è troppo presto. Ce n’è del lavoro, oggi. Meno male che mi sento in ordine. Questa mattina ero così nervoso, una volta non mi capitava.”
Misurò lo spazio mancava ancora poco alla vetta. Troppo tardi per una fuga in grande stile. Non insistette. Tuttavia continuava in testa, autoritario, accelerando lentamente. Cotto il plotone non si era sbagliato. Lo vedeva a brandelli sparpagliarsi giù per le serpentine della strada. Vento. Luce sinistra sulle rossastre marce rocce del Colbricon. Gli diede fastidio l’urlo della folla che aspettava al Passo di Rolle. Sentì che gridavano il suo nome. Traguardo della montagna: abbuono di 1 minuto. Incalzò brutalmente, si sentiva forte, una ruota di bicicletta altrui gli comparve al fianco, cercava di sopravanzarlo. Si alzò tre volte con dispetto sul sellino, puntando sui pedali. Però che strada dura! Qualcosa che doveva essere un fiore gli sbatté sulla faccia. La ruota al suo fianco retrocedette. Egli passò il traguardo in testa, nello slancio della volata si buttò giù per la strada di Predazzo. Coppi gli fu fedele e così gli altri del gruppetto. Tranne Ronconi, che ai piedi di un abete fu visto armeggiare con una ruota: foratura.
Si trovarono a precipitare insieme per la strada ghiaiosa in mezzo al bosco. E il bosco era diventato nero e nere le nuvole, tutte sfrangiate di sotto. Di Dolomiti ogni tanto qualche selvaggia rocca tra le nebbie, Qualcosa gli punzecchiò la faccia e le cosce. Grandine. Tempesta sulle montagne. A poco a poco la scena e la battaglia divennero potenti. I severi abeti fuggivano via ai lati, tutti sghembi per la velocità. Fango. I freni cigolavano come gattini che chiamavano la mamma. Non c’era anima viva. Nient’altro che il suono delle biciclette. Il ticchettio furioso della grandine e quello stridio dei freni. Nulla di fatto, dunque. A Predazzo, dove c’era il rifornimento, si ritrovarono in parecchi. Laggiù nel fondo valle, il sole ricomparve, non più grandine e vento, i corridori presero respiro.
Tra poco ricomincerà la pena. Ma intanto sulla strada quasi piana il gruppo si riassetta, si direbbe quasi un armistizio. Mangiano, bevono, si tolgono il fango dalla faccia, qualcuno scherza. I Nervi si ridistendono un poco. Sarà sul Pordol la sfida decisiva?
Bartali a colpi di denti sbuccia una banana. È bastato che per due secondi badasse al frutto. Come rialza gli occhi vede davanti tre che schizzano via. “Fuggono!” sente gridare. Scaraventa via la banana. Si curva, allunga in quel suo curioso modo il sedere appiattendosi sulla bicicletta. Ci dà dentro.
Non ha bisogno di chiedere chi sono. La sagoma di Coppi in qualsiasi prospettiva gli è bene confitta nel cervello. Poi c’è la maglia rosa, Leoni. E il piccolo Pasotti. Sono lanciati. Per fortuna con lui, Bartali, c’è il bravo Jomaux, uno dei suoi luogotenenti. Gli altri, Astrua, Rossello, Biagioni, Cecchi, Fornara, certo non gli daranno alcun aiuto.
“Una ruota, presto!”
Così quasi sul piano, proprio dove sembrava meno probabile il pericolo, comincia il grande duello rimandato finora di giorno in giorno.
Bartali: Al diavolo quella banana della malora. Possibile che mi sia lasciato sorprendere come un bambino? Niente altro che una stupida disattenzione. E quasi in pianura piatta dove mi temono di meno. “Forza Jomaux! Accelera!” Ma Jomaux più di tanto non tira. E Coppi si allontana.
Bartali fa per passare di nuovo in testa (il sole è dileguato, ma in cima alla valle risplendono all’improvviso, striate di nevi bianchissime, le muraglie del Sassolungo simile a un fantastico duomo di Natale), fa per passare in testa, quando ecco si affloscia la gomma posteriore. Una ruota, presto! L’auto della sua Casa è là pronta a due passi. 5, 6, 7, 10 secondi. E’ pronta? Pronta. Via! Con Jomaux raggiunge gli altri inseguitori, si mette ancora al comando. Ci vuol altro per spaventarlo. Adesso ricomincia la salita che è il suo pane. E lui si sente in piena forma, niente paura. Ma come mai Coppi e gli altri due sono spariti? Fin dove arriva l’occhio non si vedono. Accidenti a quell’attimo di disattenzione.
Colpa tutta di una piccola disattenzione? E’ proprio così? Oppure c’è anche qualcosa d’altro?
Guardatelo, Fausto Coppi. Si arrampica? No, che non si arrampica. Corre, semplicemente, come se la strada fosse piatta come un biliardo. Da lontano si direbbe che sta facendo un’allegra passeggiata. Da lontano: perché da vicino si può osservare la sua faccia smagrirsi a poco a poco e il labbro superiore contrarsi dandogli la singolare espressione di un topo attanagliato dalla trappola. E i due compagni di fuga? Leoni è ormai staccato sopraffatto per il momento dal travaglio. Pasotti invece resiste. È forse questa la sua prima grande giornata? Che sia lui il nuovo astro? Ahimè, basta guardarlo per capire: una quieta e rassegnata sofferenza comprime il suo volto da bambino, i suoi occhi non vedono più, sembra, tanto sono spenti. Ancora dieci metri e Pasotti crolla. Coppi è solo.
Per un lungo pezzo fin sulla cima del Pordol e poi giù fino ad Arabba e ancora su fino al Passo di Campolongo (altri 250 metri di ertissima salita) e giù di nuovo fino al bivio di Plan Gardena, in tutta questa infernale impresa lo seguiamo con la macchina. Egli va tranquillo, ogni tanto sollevato sul manubrio, menando armoniosamente le sue gambe a fuso, massicce all’attaccatura, snelle ai polpacci. Non si volta a guardare, non chiede consigli a Tragella che in piedi sulla macchina azzurra lo segue a pochi metri. Va, va, sotto al picco favolo del Boè, livido e funebre, in quell’epica atmosfera di temporale su per i magri pascoli, sempre più solo. Un corridore in bicicletta d’accordo. E noi di sicuro non siamo tifosi. Però c’è qualcosa di emozionante in quello smilzo giovane che scavalca montagne su montagne niente altro che col battito del cuore. In discesa non forza l’andatura, ma accompagna l’accelerazione del passo con lente pedalate a vuoto; nelle curve s’irrigidisce, poi si scioglie di nuovo dove la strada tira dritta, metodico, sempre uguale a sé stesso, ermeticamente chiuso nella sofferenza fisica. Sempre più solo, non gente sui prati, non frastuono di motociclette né precipitosa valanga di automobili. Passandogli vicino Verratti gli grida: “Bravo Coppi, hai 5 minuti di vantaggio!”. Egli alza il capo, le sue labbra si muovono per dire qualcosa, non ne esce alcun suono. Sì Bartali è passato sul Pordol 5 minuti e mezzo dopo si lui, preceduto da Leoni e da Pasotti.
Eccoci all’ultimo supplizio, al Passo di Gardena, altri 600 metri di dislivello. Lugubri crode incombono con selvagge gole da cui scendono folate d’inverno. Coppi rallenta un poco. Si direbbe al limite. Finalmente lo si vede sollevarsi sul sellino, dare tre o quattro pedalate, poi ricomporsi. La fuga trionfale nella tempesta ha una sospensione. Voci strane arrivano coi motociclisti che hanno lasciato Bartali poco fa. Bartali ha fatto fuori gli altri e incalza da solo. Ha guadagnato due minuti nella discesa, dicono. Comincia a lavorare in pieno solo adesso. Se Coppi appena appena cede, quello gli sarà addosso prima dell’ultima vetta.
Ad una curva, per adesso, Coppi avvista il rivale. Lontano, è vero, spaventosamente in basso, quasi ancora alla base della salita. Ma avanza. Spicca nel panorama la maglia gialla di Gino Bartali e la gialla automobile che lo va scortando. L’uomo, ci fermiamo a osservarlo, è impegnato a fondo. Veramente si divincola sul sellino come fanno le salamandre sorprese dal viandante in mezzo al sentiero. Ma non è segno di sfinimento. Questo è il suo stile dei momenti duri. E solo lui fra tutti conserva la stessa identica faccia che aveva a Bassano stamattina: sorniona, triste, scontenta, simile a certe maschere antiche di Medusa.
L’ora del destino?
Un sentimento difficile a dire, una specie di tensione degli animi, pietà, stupore di fronte a quel duello disperato, passò sulle valli. Il vecchio campione riusciva a salvarsi? O era questa l’ora del suo destino? Suonò una tromba che gli echi delle rupi ripercossero. Era il corno di un motociclista porta ordini eppure sembrò che provenisse da qualche solitario dio della montagna che desse il segnale. Allora Coppi cessò di tentennare sopra la sella, un fiato nuovo gli era giunto da qualche ignota parte, la mano invisibile della vittoria lo trasse di spalto in spalto, lo sospinse giù per la Valle Gardena. Volava ormai, terribilmente felice, benché la faccia parlasse soltanto di dolore.
Entrò nello stadio di Bolzano, eseguì il giro prescritto, tagliò il traguardo. Trionfo. E passarono vuoti i minuti. Uno, due, tre, cinque, sei, sette. Un urlo altissimo infine annunziò che l’altro arrivava. Non era solo: l’intrepido Leoni e il giovane Astrua erano riusciti a raggiungerlo nell’ultimo tratto. A vederlo non sembrava stanco. Fino all’estremo soffio lottò per il secondo posto sul rettilineo del traguardo: proprio come un soldato che combatte fino in fondo una battaglia anche sapendo che è perduta. E poi, a lunghissimi intervalli, giù gli altri. Tutti somigliavano ad altrettanti cristi crocefissi.