XVIII. Boccaccio
print this pageTeseida (162. BANLC, 44 B 12) e Filoloco (163. BANLC, 44 G 5) rappresentano bene la fase giovanile dell’attività letteraria di Boccaccio, arricchita alla corte francese di Napoli dalla cultura romanzesca ed epica d’Oltralpe, ma anche la volontà, poi perseguita anche dopo il ritorno a Firenze e in tutta la vita, di provarsi quasi in ogni genere letterario, misurandosi con i modelli offerti dalle opere e dalla poetica di Dante e Petrarca. Condividendo la risposta classicista di Petrarca alla crisi del “moderno” (ossia della letteratura loro contemporanea), Boccaccio percorre tutte le vie dell’erudizione e della riscoperta dei classici, estendendo la propria curiosità ad Omero (del quale promuoverà la traduzione latina e traccerà un ritratto emblematico, prossimo all’autoritratto, secondo una recente scoperta in un codice toledano), praticando con il De mulieribus claris (164. BANLC, 44 D 13) anche un genere, biografico, già frequentato da Petrarca.
In Boccaccio è però vivissimo il rapporto con la modernità e col volgare, con la coscienza di rappresentare con gli altri due grandi qualcosa di nuovo, ben commisurabile all’antico anche in quanto tradizione e nuovo canone (le “tre corone”). Il Decameron, l’opera che ha improntato tutta la novellistica italiana ed europea, riflette la sua coscienza di autore e umanista, devoto alla grandezza di Dante e Petrarca, ma consapevole della propria ricercata diversità e della propria rilevanza (si vedano, per le molteplici copie manoscritte e a stampa, 165. BAV, Vat. lat. 9893, 166. BAV, Barb. lat. 4057, 167. BAV, Chig. M VII XLVIa, 168. BANLC, 51 C 17 e 169. Vall. R 61). Nel Proemio (168. BANLC, 51 C 17) Boccaccio dichiara che l’opera è nata per confortare le donne in pena per amore, che egli per primo aveva sperimentato come insopportabilmente doloroso. Adora Dante, ma ci dice al contempo che egli e la sua opera sono per consapevole scelta altra e nuova cosa: rappresentano la ricerca di una nuova funzione della letteratura, più aperta e più solidale con il proprio pubblico, che egli vuole confortare. Boccaccio esalta come suo maestro anche Petrarca, il poeta e “filosofo morale”, ma si riconosce poeta-letterato con una sua posizione specifica: insegnare con diletto «quello che sia da fuggire e che similmente sia da seguitare.»
Conseguentemente, per la prima volta, come già nella sua Fiammetta, le donne sono riconosciute come pubblico di riferimento e come protagoniste attive della “cornice” e di gran parte delle novelle, sostituendo o affiancando gli uomini. La letteratura non è più solo maschile. La scoperta e la valorizzazione dell’Individuo concerne attivamente anche la donna, che Dante e Petrarca in vario modo avevano voluto “uccidere” letterariamente, facendola addirittura morire a metà della storia. Le grandi tematiche del Decameron (l’amore come diritto dell’individuo, l’avventura, la beffa e l’arte della parola, la libertà) sono presenti e riconoscibili anche nei personaggi femminili, a volte irridenti proprio nei confronti degli uomini.
Il Decameron è il libro che ha consentito all’autore di conferire a tutta la letteratura lo statuto di un’arte non solo attenta ai valori linguistici ma anche ricca di valori conoscitivi ed emozionali essenziali per la convivenza civile: un’arte piacevole e utile e dunque di interesse generale ed autonoma. Tempo libero e letteratura sono proposti come un insieme organicamente congiunto, produttore di una libertà consapevole, senza vergogna e senza pentimenti. La letteratura si autodefinisce come spazio e tempo autonomo non passibile di “riprensione” o di censura.
Boccaccio, Decameron, Proemio, La scoperta della donna e dell’Individuo
«E chi negherà questo, quantunque egli si sia, non molto più alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare? Esse dentro a’ dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno che l’hanno provate: e oltre a ciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. E se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopraviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa.»
Libri esposti: 162. Teseida; 163. Filocolo; 164. De mulieribus claris; 165. Decameron, in tre voll.; 166. Decameron, copia ‘a prezzo’; 167. Decameron, copia ‘per passione’; 168. Decameron, in monastero; 169. Decameron, commissionato da Pietro Bembo?