52 - Le "imagini" delle donne auguste
print this pageNato a Parma nel 1523, Enea Vico, rampollo di una famiglia aristocratica in declino, fu avviato alla pratica delle arti del disegno, dapprima nella città emiliana, poi, ancor giovanissimo, a Roma, dove entrò in contatto con l’ambiente degli editori e mercanti di stampe.
Dopo un periodo trascorso nell’orbita della corte medicea a Firenze, Vico passò a Venezia; qui, con il sostegno di alcuni illustri estimatori quali Pietro Aretino e Anton Francesco Doni, scoprì una tardiva ma impetuosa vocazione allo studio delle humanae litterae, dedicandosi in special modo alle discipline antiquarie e alle ricerche numismatiche.
Ne nacquero diversi trattati, vere e proprie pietre miliari del genere, in taluni casi impreziositi da eccellenti apparati illustrativi, che l’autore stesso, in virtù della sua competenza ed esperienza, poté curare e realizzare di persona. Il più importante riconoscimento di queste fatiche giunse dal duca Alfonso II d’Este, e si concretizzò nell’invito a ricoprire l’ufficio di “custode al gabinetto delle medaglie” della collezione estense a Ferrara: un incarico che il Vico mantenne dal 1563 fino alla morte, sopraggiunta nel 1567.
Quanto a Le imagini delle donne auguste, la genesi dovette protrarsi a lungo. Nel 1550 le incisioni venivano pubblicate dal Doni; varie prove di stampa si conservano ora presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Ottob.lat. 2957-58) e sappiamo in effetti che alcuni esemplari sciolti erano stati presentati da Vico al cardinale Ippolito d’Este, insieme alla richiesta di un contributo finanziario per l’iniziativa editoriale.
Quando infine uscì a Venezia, dalla bottega di Vincenzo Valgrisi nel 1557, il lavoro segnò un momento fondamentale nella storia della cultura antiquaria, e soprattutto della produzione d’indirizzo numismatico. Nelle Donne auguste per la prima volta si verificava quel felice connubio tra i due ruoli di studioso e di incisore, che rappresenta forse la cifra più autentica dell’opera vichiana.
l taglio squisitamente antiquario dell’opera è reso esplicito fin dal frontespizio, che riproduce fedelmente la decorazione a rilievo della faccia anteriore di un antico monumento funerario, l’urna di Amemptus, liberto di Livia, consorte di Ottaviano Augusto.
Le imagini delle donne auguste sono concepite e proposte come una sequenza di exempla in funzione etica, il che riconduce a una categoria del pensiero solidamente radicata nella tradizione umanistica.
Introdotta da un’epistola dedicatoria al cardinale d’Este, da due indici – delle cose notevoli e delle fonti citate – nonché da un proemio “alli studiosi dell’antichità”, la struttura si imposta convenzionalmente sull’iterazione di un medesimo schema espositivo: le figure femminili, da Marzia, nonna di Giulio Cesare, a Domizia, moglie di Domiziano, vengono presentate in ordine cronologico, secondo la successione dei prìncipi delle case imperiali cui le protagoniste erano legate, per vincoli di sangue o per matrimonio.
Ogni capitolo è introdotto da una tavola che mostra la riproduzione del diritto di una moneta antica con il ritratto dell’Augusta, inserita in una cornice d’impronta antiquaria; segue il profilo biografico, suffragato dalle notizie desumibili attraverso le fonti letterarie, epigrafiche e numismatiche. Notevoli anche i capilettera.
Meticolosa la cura impiegata da Vico nel rapportarsi a quello che oggi definiamo il patrimonio archeologico e numismatico, indicando sempre i dati fondamentali per l’identificazione dei diversi esemplari esaminati, ivi compresa la proprietà, con dovizia di preziose informazioni sul fenomeno del collezionismo di antichità.
Le Donne auguste conobbero un’immediata fortuna, cui dovette contribuire, entro i confini della Penisola, la scelta del volgare; comunque, già nel 1558 Natale Conti ne preparava una traduzione in lingua latina, che pure ebbe notevole successo, e ampliò enormemente la diffusione dell’opera, tra gli antiquari e gli eruditi di tutta Europa.