54 - Scena d'huomini illustri d'Italia
print this pageGaleazzo Gualdo Priorato nacque a Vicenza il 23 luglio 1606 da Niccolò, conte di Comazzo, e Antonia Roma. Appena quindicenne, il giovane seguì nelle Fiandre il padre, che militava sotto le bandiere dello statolder, il principe Maurizio di Nassau-Orange. Nel 1635 fece ritorno in patria e cominciò a dedicarsi con curiosità e passione alla storiografia e alla politica. Nel 1647 entrò a far parte dell’Accademia degli Incogniti dove nel 1656 presentò la prima parte della Scena d’Huomini illustri, un’opera pensata in continuo divenire (l’autore scelse infatti di non numerare le pagine per poter inserire delle vite tra una tiratura e l’altra), ma rimasta incompiuta forse per la stroncatura ricevuta da Giovanni Francesco Loredan. Nel 1652 Galeazzo riprese le sue missioni all’estero, soprattutto in Francia, dove rimase fino al 1663. Morì a Vicenza nel 1678.
Il trattato, dedicato al doge Giovanni Pesaro, venne stampato da Andrea Giuliani, discendente da una famiglia di stampatori attivi sin dal 1584.
Come dichiarato nel frontespizio, il Gualdo si impegnò a descrivere una serie di 43 uomini illustri distintisi per la nascita, per il valore o per la fortuna, elencandoli in ordine alfabetico secondo il nome di battesimo, eccezion fatta per papa Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, che è collocato per primo. Il frontespizio è seguito dal ritratto entro un ovale incorniciato d’alloro del doge dedicatario dell’opera, firmato “Iac. Picino f.” e dallo stemma della famiglia Pesaro, insignito del corno dogale.
Ogni biografia è corredata dall’effige e dall’arma della famiglia di appartenenza; le insegne sono tutte anonime, ma lo stile, l’omogeneità d’impostazione e le somiglianze con quella del doge fanno supporre che anch’esse siano opera del Piccini.
Dei 43 ritratti, 24 sono firmati dal Piccini, cinque da Giovanni Giorgi, o Georgi, quello di Matteo Galasso da Giovanni Merlo, quello di Giovanni Sorbellone da Giacomo (o Jacopo) Cotta quello di Alessandro da Monte dal non identificato “Nicasius Beurensis”, mentre undici sono anonimi.
Giacomo Piccini (Padova 1619-Venezia 1660) si occupò quindi dell’aspetto grafico dell’opera, fornendo una valente prova della sua tecnica incisoria a tagli paralleli desunta dal francese Claude Mellan da cui riprese per quest’opera, fin nei minimi particolari, il ritratto del cardinale Guido Bentivoglio inciso da questi nel 1632.
Nell’antiporta (mm 192 x 135) è raffigurata l’Eternità nelle vesti di una donna velata che tiene nella mano destra un globo, con una mezza luna sulla fronte e un sole raggiante sopra il capo. Questi ultimi rappresentano gli opposti che s’incontrano producendo un ciclo perpetuo: l’eternità è l’assenza o la soluzione dei conflitti, il dissipamento delle contraddizioni, sia sul piano cosmico che su quello spirituale. La donna sta indicando una pila d’insegne proprie delle cariche religiose e governative ad un’altra donna alata e seminuda, la Storia, seduta con dei libri ai piedi e colta nell’atto di scrivere su di un libro mentre volge lo sguardo indietro e a terra. Su tutto vola la Fama, raffigurata come una donna alata che suona la tromba, mentre con una mano regge il cartiglio su cui sono incise le parole chiave del titolo dell’opera. L’incisione è firmata “Piccino Sculp.et In.”.
Ci troviamo quindi in presenza di un’antiporta chiaramente ispirata al genere e al contenuto dell’opera trattata: le tre figure allegoriche presenti nella scena e il loro muto dialogo suggeriscono al lettore lo scopo del trattato, ovvero la volontà di rendere imperitura la memoria delle gesta dei grandi uomini di quel tempo.
Nel frontespizio tipografico compare la marca xilografica dello stampatore in cui, all’interno di un globo diviso in due emisferi e circondato da un ricco fregio con quattro puttini, si vedono un’aquila ad ali spiegate, in quello superiore, e tre gigli di giardino non stilizzati in un’anfora sostenuta da un braccio, in quello inferiore.