Tra le motivazioni che sono state addotte per il fatto che Beccario avesse commissionato ad Antonio da Fermo una copia della Commedia si trovano il suo orientamento ghibellino ed il fatto che un Beccaria, Tesauro, compare nel canto XXXII dell’Inferno, dove Dante lo colloca nell’Antenora tra i traditori della patria. E’ un avo di cui poter andare fieri soltanto puntando sulla sua innocenza, cui sembrano essere inclini sia il cronista fiorentino Giovanni Villani che Benvenuto da Imola, uno dei commentatori della Commedia.
Tesauro Beccaria fu accolto a Firenze come legato del papa Alessandro IV, ma fu poi torturato e giustiziato a furor di popolo con l’accusa di aver congiurato contro la città con i ghibellini fuoriusciti («quel d’i Beccheria, | di cui segò Fiorenza la gorgiera»).
Nel Codice Landiano, oltre al testo della Commedia, si incontrano quattro sonetti di Guittone d’Arezzo e la canzone dantesca Le dolci rime d’amor ch’io solia.
Quest’ultima (LXXXII nelle Rime), dedicata al tema della nobiltà, è presente in diversi manoscritti. Dopo l’edizione fiorentina del Convivio del 1490, compare tra le canzoni pubblicate in appendice all’edizione della Commedia stampata a Venezia nel 1491 da Pietro Cremonese.
Alla fine del Codice vengono altresì riportati i capitoli in terzine di Iacopo Alighieri (1289-1348), terzogenito del Poeta, e di Bosone da Gubbio. I due commenti si trovano spesso insieme sia nei manoscritti sia nelle stampe, come accade per la prima volta nell'edizione della Commedia del 1477 (la Vindelina). Iacopo si concentra sulla struttura del poema, mentre Bosone ne espone il significato allegorico. Iacopo è anche autore di brevi commenti alla prima cantica e con il fratello Pietro condivise il proposito di completare il Paradiso con gli ultimi 13 canti allorquando, secondo quanto racconta fabulosamente Boccaccio, parve perduta questa parte della Commedia.