Comprendere e rileggere uno dei testi architettonici più rappresentativi della cultura figurativa maturatasi nella città di Reggio nel primo dopoguerra non può certamente prescindere da un adeguato approfondimento del clima politico e culturale di quegli anni, tanto sotto il profilo delle urgenze e problematiche connesse all’opera di ricostruzione materiale della città distrutta, quanto in relazione all’affermarsi di linguaggi ed ideologie che avrebbero assunto repertori iconografici ormai consolidati, trasformandoli in simboli di un nuovo credo politico, inteso a tradurre il lutto e la sua commemorazione in esaltazione eroica del sacrificio, grammatica e sintassi di un nuovo mito, quello della Nazione italica.
Le vicende ricostruttive della Chiesa di San Giorgio al Corso o Tempio della Vittoria prendono le mosse da un’inedita relazione datata 1919, redatta dall’arch. Camillo Autore e relativa al restauro dell’edificio. In quell’anno l’architetto, già allievo a Palermo del prof. Ernesto Basile, veniva chiamato dal prof. Enrico Calandra a collaborare con lui presso l’Ateneo di Messina dove nel 1921 avrebbe conseguito la libera docenza. Nasceva così un rapporto di proficua collaborazione che, al di là del progetto per il ricostruendo Tempio delle Vittorie (1926), li vedrà condividere ricerche e studi di alto spessore scientifico di cui è testimonianza nelle carte dell’Archivio Calandra.
Nei pannelli di questa terza sezione oltre a sintetizzare, soprattutto attraverso disegni ed immagini conservati presso gli archivi consultati, l’evoluzione progettuale dell’edificio anche sotto il profilo architettonico – decorativo, si è ritenuto utile contestualizzarne la realizzazione nell’ambito del momento storico culturale vissuto dalla città e del dibattito, assai vivo all’epoca, circa le forme ed il decoro che la rinascente architettura avrebbe dovuto assumere. Da qui l’idea della mostra-concorso voluta dal Frangipane nell’ambito della IV Biennale d’Arte Moderna (1926) cui parteciparono, oltre all’architetto Autore, altri stimati professionisti e docenti universitari, quali lo stesso Calandra.
Altro aspetto rilevante del momento storico in esame è legato all’affermarsi, negli anni successivi alla Grande Guerra, di un comune sentire, un diffuso sentimento di riconoscenza verso le tante giovani vite offerte alla Patria: ne sono testimonianza i numerosi monumenti commemorativi, e celebrativi ad un tempo, sorti tanto in Italia, quanto nei più piccoli comuni della nostra Regione. Questo doveroso sentimento di gratitudine anima la volontà di Mons. Moscato, cappellano militare rientrato dal fronte certamente con ancora negli occhi lo strazio della morte.
Queste le coordinate culturali e politiche entro le quali va ricondotta la volontà di ricostruire la chiesa di San Giorgio o Tempio della Vittoria, una costruzione che procederà tra varianti, carenze di fondi, sospensione di lavori e polemiche, testimoniate dalla pubblicistica coeva e da inedite relazioni contenute nei carteggi consultati.
Le difficoltà economiche non permisero la realizzazione di quell’importante corredo decorativo che gli elaborati di progetto testimoniano: anche il previsto gruppo scultoreo raffigurante san Giorgio che uccide il drago, e per il quale era stato indetto un apposito concorso, non venne realizzato ed emblematica rimane l’immagine, restituita da una foto conservata presso l’archivio storico fotografico della Soprintendenza BEAP - CAL, che mostra il prospetto della chiesa già compiuto, come l’impalcatura retrostante lascerebbe intendere.
Il lessico del repertorio scultoreo utilizzato, con particolare riferimento alle formelle che fiancheggiano il portale, risulta chiaramente ispirato all’iconografia della Vittoria alata, che ora guida il fante all’attacco, ora ne riceve i simboli del martirio, e della Patria raffigurata nel baciare il Caduto morente come per premiarne il sacrificio.
E’ la nuova religione di Stato, capace di trasformare la pietas ed il dolore in evento purificatore ed il monumento da testimone della riconoscenza di una comunità a manifesto di una fede politica che, appropriandosi del “mito” e della memoria della Grande guerra ne trasfigura il significato in epopea della Nazione e celebrazione del martirio.