Culto di San Giorgio a Reggio

Le origini del culto di San Giorgio a Reggio si possono ricondurre ad epoca bizantina, quando erano consueti movimenti di armati e trasferimenti di popolazioni all’interno dei territori dell’impero. Intorno a Reggio, tra il 587 e il 808 furono dislocati profughi da Patrasso, tra i quali era già diffusa la devozione. Dopo guerre e battaglie, i soldati in pensione trasportavano culto e immagini dei protettori tra i campi. In tale direzione va considerata la piccola placca in steatite del X secolo, conservata al Museo Nazionale di Reggio Calabria. Si tratta di un minerale (detto anche saponaria) sagomato e intagliato, con funzione di amuleto, prodotto in area siriana. Esso riporta la figura di San Giorgio stante, circondato dal nimbo, con lancia, scudo e croce, proviene dalla necropoli bizantina di Calanna. La cronaca di Goffredo Malaterra del secolo XII, De Rebus gestiis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratriseius, riporta l’attacco dell’emiro di Siracusa Ben Avert nelle acque di Reggio (1086). Tramanda la devastazione 

del convento di San Nicolò di Calamizzi e di una chiesa dedicata a san Giorgio. Il Santo era divenuto il campione dei Normanni dopo la battaglia di Cerami (1083), quando era apparso su un cavallo bianco per condurli alla vittoria. In seguito, la devozione
per san Giorgio si diffuse tra luoghi di culto e leggende. In particolare lungo il percorso della conquista normanna, che avvenne dall’interno della Calabria. Per i secoli successivi, si menzionano nella città di Reggio quattro chiese intitolate al santo patrono:
San Giorgio de Gulferio o Intra (moenia); San Giorgio Extra (fuori le mura); San Giorgio di Sarteano nella Giudecca, detta a volte san Giorgello e San Giorgio de Lagonia o dell’Agonia. Nelle fonti, le notizie su tali chiese risalgono ai primi anni del Trecento, mentre le ritroviamo tutte e quattro distrutte alla fine del Cinquecento. San Giorgio de Lagonia e di Sarteano non si ripresero mai più. Entrambi erano edificate all’interno delle mura spagnole: una fu parrocchia, mentre l’altra, di ridotte dimensioni, sorgeva all’interno della Giudecca. Il quartiere degli Ebrei era separato dalla città, disponeva di una porta sulla Marina e di una sinagoga. Perlomeno fino al 1511, quando gli Ebrei dovettero lasciare il regno napoletano. Le loro case e cose furono vendute all’incanto, i proprietari ne approfittarono e il quartiere cominciò ad assumere la sua aria aristocratica. Inoltre, ai margini della Giudecca vi era un’altra chiesetta intitolata a San Pietro di Sarteano. Il reiterarsi del nome di Sarteano e il significato del termine proveniente dal greco, induce l’ipotesi di un quartiere nel convicinio di San Giorgio già frequentato da Greci. San Giorgello venne data alle fiamme nel 1543, durante una scorreria araba. L’esatta ubicazione della chiesa dell’Agonia invece è dubbia. In periodo medievale, la città era molto più ridotta: il Duomo coi quartieri adiacenti non esisteva ancora e un muro escludeva un ampio terzo di perimetro nella parte meridionale. Il kastron bizantino di Reggio si sviluppava sotto il castello con accampamenti militari indicati dai nomi dei santi tutelari dell’esercito imperiale: San Gregorio l’Armeno; Sant’Angelo lo Grande (san Michele Arcangelo) e Sant’Angelo lo Piccolo; San Giorgio dell’Agonia. Questa si trovava nel rione della Battagliola, non lontano dalla Matrice (il katholikon) e finì distrutta anch’essa dalla furia dei musulmani, nel 1594. L’arcivescovo D’Afflitto in visita pastorale, la rinvenne in rovina, per cui aggregò l’ultimo sacerdote alla chiesa metropolitana.
La figura di san Giorgio è comune alle grandi religioni monoteiste. Il suo culto è connesso alla natura e alla fertilità, San Giorgio detto il Profeta Verde (MuftiKhidr) viene onorato a New Delhi, a Istambul come a BeitJala, da musulmani ed ebrei. Il monastero di BeitJala, nei pressi di Betlemme, è considerato luogo di nascita del Verde e sito dal quale il profeta Elia fu visto ascendere in cielo su un carro di fuoco. Il santuario è molto frequentato e nonostante l’integralismo islamico, i monaci cristiani che vi abitano si sentono sicuri. Frate Metodio nel 1994 assicurava che per la festa del Santo è possibile intendere intorno al luogo sacro, lo scalpiccio del suo cavallo. Nel 1888, il canonico Antonio Maria De Lorenzo riporta nelle Monografie di storia reggina e calabrese, che nella notte del 23 aprile a Reggio, si poteva udire la zampa del cavallo sui tetti della città.