RACCONTARE LA GUERRA

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Sullo sfondo dell'orrore, la sacrarizzazione della figura del medico
diviene una componente fondamentale del mito patriottico nazionale,
garanzia ulteriore della fusione degli sforzi e della ricomposizione
degli affetti: "Sibilano e ronzano diabolicamente sul capo i proiettili,
scoppiano, folgorano, percotono, trapassano, fracassano, sbattono, annientano;
il Medico inginocchiato, curvo, attento, magari sorridente,
lava, deterge, stagna, protegge, benda, salva il figliolo
alla accorata aspettazione della madre".
E, quando la morte è più forte di lui, eccola cooperare
a un disegno di dignità e di grandezza:
<<Non tu sei vittima, tu che muori per la patria.
Tu sei parte della Divinità, della immortalità (...)
Tu morendo crei e cementi nuova grandezza di patria, nuova gloria e nuova vita>>.
L'officina della guerra, p. 69

Il diario di Giovanni Battista Caffaratto è un piccolo quaderno da appunti a quadretti, della misura di 11 x 6,5 cm. Un oggetto tascabile e non ingombrante, da portare con sè e sui cui annotare impressioni, eventi, riflessioni.

Il quadernetto è intestato, forse per il timore che venisse perso e che si potesse riconoscere il suo autore, e intitolato Diario di guerra - 1915.
Le annotazioni coprono l'arco cronologico dal 29 luglio al 9 settembre 1915; sono stese a matita e a penna, con una scrittura rapida e minuta. Il linguaggio è scarno e sintetico.

Cattura2

Caffaratto descrive la propria partenza da Cavour e l'arrivo a Belluno, nonchè i numerosi spostamenti che lo riguardano nelle prime settimane di guerra. In queste pagine emerge un senso di aspettativa rispetto a ciò che accadrà al fronte:

3-4 [agosto] Continuo a poltrire indecentemente a Taibòn, in attesa della definitiva destinazione. Ieri e oggi ho fatto una passeggiata di allenamento su per i monti. Oggi ho sentito da lontano il primo colpo di cannone.

Nei giorni a venire sarebbe avvenuta l'assegnazione alla direzione sanitaria del primo Battaglione del 50° Fanteria. Nelle note successive all'11 agosto iniziano a comparire le descrizioni degli eventi bellici, con tono spesse volte ironico:

11 agosto (...) Si vedono le trincee austriache. Quando una granata scoppia su di esse, si vede col binocolo saltare in aria terra, sassi, e spesso uomini: sembrano tanti burattini buttati per aria. Che bella colazione al rombo del cannone!

Non mancano le riflessioni sulle condizioni di lavoro e sull'approvvigionamento militare e sanitario dell'Esercito italiano:

11 agosto (...) Son tremende le granate austriache! Sono costituite da metallo pesantissimo: arrivano sibilando e si schiantano rabbiosamente con certo sinistro suono metallico... Le nostre non credo siano così perfette.

E ancora, non mancano passi sugli esiti delle battaglie e su morti e ferimenti dei soldati italiani:

[...] Un capitano di Saluzzo che mangia qui con me mi assicura che il battaglione Fenestrelle degli Alpini è stato distrutto [...]

Questo in particolare si riferisce alla battaglia dell'area tra la Pitturina e la Forcella Cavallino, combattuta dai primi giorni di luglio alla notte del '18, quando  una tempesta si abbattè sulla zona, e lo scontro tra i due eserciti si tradusse in una totale sconfitta per gli italiani, che persero l'intero 29° battaglione, con "4 ufficiali e 100 morti ed 1 ufficiale e 61 prigionieri".

Ciò che il diario non racconta, viene descritto dal figlio Tirsi Mario, che in uno scritto senile ricordò:

Dalle note biografiche di Tirsi Mario Caffaratto (pag. 100/15)

.Ma torniamo ai miei viaggi. Ricordo poco, ma solo che fu una notte lunghissima, quella che ci portò, mia madre, mia sorella di 3-4 anni ed io, da Cavour a Catania, viaggio che in realtà durò due giorni e due notti. Mio padre era stato al fronte al Col di Lana, Cortina ecc. con un battaglione di fanteria, quando il battaglione venne decimato, proprio dopo la presa del Col di Lana e ricostituito con elementi di riserva, continuò a svolgervi le mansioni di capitano medico e di aiutante maggiore. Ma ritornò l’inverno, la neve, il freddo. Quei soldati di rimpiazzo, essendo tutti anziani e siciliani, non abituati al clima, ai disagi della montagna, si ammalarono in gran numero, così che lo Stato maggiore decise di rimpatriarli. E dalle nevi del Cadore ritornarono sotto il sole di Mongibello, a Catania. Successe però il fatto che ora mio padre, non abituato al clima, e soprattutto al modo di mangiare di quella gente, si ammalò di una forma abbastanza seria di gastroenterite. Perciò la sua chiamata della moglie, che necessariamente si trascinava dietro il resto della famiglia.

 

Evento databile al marzo 1917 (cfr. cartolina 49 del 1-4-17)