44 - Hieroglyphica
print this pageFortunio Liceti, docente di filosofia e medicina alle Università di Bologna e Padova, fu anche un attento studioso delle antichità.
Nel 1653 pubblicò a Padova presso Sebastiano Sardi gli Hieroglyphica, in cui descrisse 66 gemme incastonate in anelli, accompagnate da un titolo e da un’espressione di carattere morale; il volume fu dedicato alla regina Cristina di Svezia.
La maggior parte delle illustrazioni è tratta dall’opera Gemmae antiquitus sculptae, a Petro Stephanonio collectae et declarationibus illustratae, pubblicata a Roma nel 1627 dall’editore e incisore Pietro Stefanoni e arricchita da 57 tavole raffiguranti le gemme della sua collezione, come attesta l’iscrizione presente in ognuna “apud Petrum Stephanonium in gemma”.
Nel frontespizio degli Hieroglyphica compare l’impresa accademica (mm 82 x 140), incisa a bulino da Giovanni Georgi. La scena allegorica è inclusa in una cornice retta da una coppia (forse) di leopardi e reca, in basso al centro, lo stemma della famiglia Liceti. All’interno, come viene spiegato nella descrizione della gemma XLV “Panos Hieroglyphica, de Sermone, deque universo declarata”, il dio Mercurio, raffigurazione dell’eloquenza e dell’intelletto, cerca di afferrare Pan, emblema della totalità della natura. Compare inoltre un cartiglio con il motto “FORTASSE LICEBIT”, che Del Basso ipotizza possa essere un criptato riferimento al nome dell’autore.
L’incisore ha eseguito anche la raffigurazione delle gemme riprendendo, fin nei minimi dettagli, le illustrazioni di Stefanoni e il ritratto dell’autore firmato “Jo. Georg. Sculps” e datato “1652".
Grazie a un’incisione molto simile conservata presso la Biblioteca di Urbania nella quale compare il nome del disegnatore -“Michael de Sobleo delineavit”–, si desume che il ritratto venne ideato da Michele Desubleo, artista francese giunto a Roma intorno al 1620 e trasferitosi prima a Bologna, dove entra nella bottega di Guido Reni, poi a Venezia, Milano e nel1666 a Parma. Tra i suoi dipinti si conoscono solamente due ritratti, piuttosto simili per impostazione ed entrambi risalenti al periodo bolognese: un autoritratto in collezione privata e il ritratto di Fortunio Liceti che, molto probabilmente, non è mai stato dipinto ma solo approntato per l’incisione. In entrambi l’effigiato, riccamente abbigliato, è ritratto seduto alla scrivania, voltato di tre quarti verso lo spettatore, secondo lo schema usuale del ritratto ufficiale di matrice veneto-carraccesca, e intento a scrivere su un volume.