45 - Gli Arronzii
print this pageGiacomo Zabarella il Giovane recitò il discorso intitolato Gli Arronzii overo de’ marmi antichi all’Accademia dei Ricovrati di Padova il 12 gennaio 1652, sotto il nome di Amiantato. La scelta di questo nome d’arte, spiega Zabarella, deriva dal “Lenzuolo di tela incombustibile, cioè fatto della pietra Amianto (della quale io ne ho anco un pezzo) col motto: Accendor, non vror” ("mi accendo ma non brucio"), in cui i corpi dei grandi erano soliti essere bruciati nell’antichità.
Il trattato venne pubblicato nel 1655 dal tipografo e libraio padovano Paolo Frambotto.
Ne Gli Arronzii Zabarella fonde insieme due dei filoni più fortunati dell’erudizione storica padovana: la ricerca genealogica e la descrizione delle antichità romane. Il trattato si apre con le trascrizioni delle iscrizioni sui monumenti di Marco Arronzio Aquila e di Lucio Arronzio Stella, insigni cittadini padovani e consoli romani, e prosegue con l’analisi delle cariche, dei riti, delle monete, delle medaglie e delle antichità più belle di Roma.
Gli Arronzii è dedicato dall’autore al cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII e grande appassionato di letteratura e arti figurative.
Gli Arronzii si aprono con un’antiporta (mm 198 x 138) incisa a bulino da Girolamo David (Vaudoy-en-Brie 1590-1600 ca-Parigi post 1663) che, ispirato dal genere letterario e dal contenuto dell’opera, offre una sontuosa facciata al testo dello Zabarella. Incisore prolifico e molto versatile, indirizzò la propria attività sia alla traduzione di dipinti di soggetto religioso, realizzati da artisti come Andrea del Sarto, Guido Reni, Guercino e Paolo Farinati, che alla ritrattistica, eseguendo le effigi di importanti personaggi dell’epoca.
In alto una figura femminile ammantata e seduta tiene nella mano sinistra un libro aperto su cui si leggono le parole “Magistra vitae” in riferimento al noto verso ciceroniano “Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis” ("la storia è testimone dei tempi, luce di verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera del passato": De oratore, II, 36) e all’argomento trattato dallo Zabarella; ai suoi lati due putti reggono un drappo nel quale si legge il titolo dell’opera.
Al centro l’allegoria di Roma, raffigurata come una donna in lorica ed elmo che tiene ritta nella mano sinistra una lancia, mentre con la destra sostiene una Vittoria alata che regge un globo e una palma; attorno a lei compaiono armi, stendardi, armature e due prigionieri con le mani legate dietro la schiena.
Sui piedistalli ai lati sono poste le statue della Prudenza a sinistra e della Dottrina a destra. La prima, oltre agli attributi canonici dello specchio, nel quale vede le cose passate e future, e dei serpenti che si allungano lungo il suo braccio sinistro, presenta, a potenziarne ancor più il significato allegorico, degli occhi aperti disseminati sulla veste, chiaro riferimento alla vigilanza rivolta all’esterno. La Dottrina è qui raffigurata come una donna con in mano uno scettro terminante con un sole raggiante “inditio del Dominio, che ha la Dottrina sopra li horrori della notte dell’ignoranza” (Ripa 1645).
L’incisione è firmata in basso a sinistra “Hier. David. F”, mentre il ritratto dell’autore anteposto al testo, collocato entro una cornice ovale e sormontato dallo stemma della famiglia Zabarella, non è segnato. Nel frontespizio è presente la marca del tipografo raffigurante Minerva in armatura che tende la mano ad un olivo ed il motto “PACIS OPUS” (opera della pace), mentre numerose altre immagini xilografiche, stampate assieme al testo, riproducono medaglie, marmi e iscrizioni.