Belli e i problemi di salute

In alcune delle tante lettere scritte a parenti  e amici da Belli troviamo riferimenti ai suoi problemi di salute.

In particolare,  le lettere  indirizzate all'amico Giuseppe Neroni Cancelli (Ripatransone, 19 dicembre 1784 – San Benedetto del Tronto, 5 marzo 1858) contengono confidenze più esplicite circa le preoccupazioni di Belli per le sue condizioni fisiche. 

Proprio attraverso una lettera scambiata fra i due amici aggiungiamo un importante tassello alla pratica di pensione

Infatti nella lettera del 16 Dicembre 1844 scritta al conte Neroni Cancelli, Belli, fra le righe, fornisce un'importante informazione sulla sua domanda di pensione (giubilazione). di "Belli, Giuseppe Gioachino, impiegato".

Dalle lettere a Giusepppe Neroni Cancelli

Ecco un frammento, estrapolato dalla lettera di cui sopra:

A GIUSEPPE NERONI CANCELLI — S. BENEDETTO
Di Roma, 16 Dicembre 1844 
Ritratto di Giuseppe Neroni Cancelli (Marche Region, Italy, 1784-1858), Italian patriot and politician
"Ne’ voti che formate pel ristabilimento della mia salute io riconosco quell’amichevole bontà di cui sempre mi deste prove da circa ben 
26 anni a questa parte, senza mai smentirla in un solo incontro e per un solo momento.
L’affare però della mia salute non va certo a seconda de’ desiderii vostri e de’ miei; e siavene prova lo aver io dovuto per consiglio (anzi prescriz
ione) dei medici ritirarmi da qualunque occupazione mentale; in conseguenza di che mi è stato forza dimandare al governo la mia giubilazione per non incorrere nelle triste calamità presagitemi dal mio medico curante, e riconosciute probabilissime anche dal professore del Collegio medico-chirurgico, che fu deputato di uficio dal Cardinal Camerlengo a visitarmi e riferire sullo stato mio sanitario.
Vedete dunque che con questa mia testaccia non v’èda scherzare. Dopo tante
occupazioni eccomi pertanto in ozio, e in un ozio che mi divora di noia, tranne i brevi stanti che debbo pur consacrare ai materiali interessi del figlio mio, tanto più che il mio ritiro dall’impiego non ha potuto andare scompagnato dal sagrificio di borsa. Abyssus abyssum invocat. Cerchiamo almeno di non cadere sotto le cateratte...."

Ma le confidenze sulla sua salute, che stava peggiorando dopo la morte della moglie Mariuccia, erano cominciate già a partirtire dal 1840. Come possiamo leggere in questi altri frammenti:

-A GIUSEPPE NERONI CANCELLI — S. BENEDETTO
Di Roma, 3 aprile 1840 
Ah! la salute, la salute è quella che mi tradisce! Questa mia testa che mi divien
così languida! ...

-A GIUSEPPE NERONI CANCELLI — S. BENEDETTO
Di Roma 27 maggio 1840
...La mia testa però non vuol darmi tregua; e appena io faccio qualche sforzo perobbligarla a meditare, arrivo al punto che mi sembra di impazzire. Sento come un peso che mi si aggravi dolorosamente sulla sommità del capo, e uno stringimento straziante alle tempie. D’altra parte il genere faticoso di vita che mi convien menare per portare innanzi la vita di mio figlio e la mia (che mi è necessaria per lui) non contribuisce poco a peggiorare la mia cerebrale infermità, dalla quale sono a loro volta resi più gravi i miei giornalieri travagli.
Nel giorno 17 mi fu fatta una sanguigna emorroidale e datami lusinga che ne avrei ricavato grangiovamento. Nulla, anzi peggio.
... Le mie facoltà mentali vanno ogni giorno più languendo; e la memoria, la memoria poi è giunta a tale scadimento che parlo con molto disordine e gran difficoltà, provan do gran pena nel rammentarmi non solo delle cose, ma ancora delle parole relative a ciò che voglio significare. Se io voglio
leggere un libro (che già me ne manca materialmente il tempo) debbo richiuderlo tra per la pena che me ne deriva al cervello e per la mortificazione di vedere che le cose in quello scritte non lasciano nella mia mente alcuna traccia.
Vi parrà forse che io vi reciti una favola; ma se io avessi la sorte di avervi a me vicino, avrei anche il certo dispiacere di vedervi sospirare sullo stato d’un uomo infelicissimo...
Io lavoro da quindici in sedici ore al giorno, benché il mio male richiederebbe permolto tempo una completa inazione e un’assoluta tranquillità. Ma come farne di meno? Io son come colui al quale non si lasciasse altra scelta che di gittarsi o da una finestra o da una altra...
Non potere scrivere un verso! Ne ho fatti tanti, ed oggi prender la penna e star lì fisso e stupido come una statua! Ne sono umiliato.
Ho tardato sino ad oggi a scrivervi, sperando sempre... Ma è inutile lo sperare.
Compatitemi e non mi ritogliete col vostro affetto le gentilezze vostre. Se un giorno io ritornerò in parte l’uomo di prima, ogni ricuperato mio sentimento sarà vostro...
-A GIUSEPPE NERONI CANCELLI — S. BENEDETTO
Di Roma, primo aprile 1844 
La salute mia non va bene: sono tormentato da assiduo dolore di capo. 
- A GIUSEPPE NERONI CANCELLI — S. BENEDETTO
[3 febbraio 1846] 
Altrettanto vi dico circa alle molestie della vostra salute, suggerendo a
voi quella medicina che trovo buona per me nel mio stato permanente di sofferente, mentre dal 12 dicembre a questa parte son per me più i giorni di letto che quelli di libero moto.

Dalle Lettere a  vari amici e conoscenti:

-A FRANCESCO SPADA — ROMARisultati immagini per francesco spada romano poeta
Di Perugia, lunedì 15 settembre 1845 
".... Dicono tutti che ho una buonacera. Per la cera esterna mandiamola buona, se assolutamente voglion così. Ma se di fuori è cera, dentro è sevo, come ne lle candele de’ festini. Sto sempre co’ reumi per le tasche, e della testa ne farei cambio con quella del mio vicino Abate Luigi.."
-A FRANCESCO CERROTI — PORTO D’ANZIO
Di Roma, 14 maggio 1847 
..".Come va la mia salute? La testa mi duole più che prima, e il dolore va accompagnato da stordimento fastidiosissimo. Dimani sera mi farò
fare, per cenno medico, una sanguigna emorroidale. Eppoi? Eppoi Dio lo sa.."
-AL PROF. G. TANCIONI — ROMA
Giovedì 26 aprile 1849 
"..trovandomi da varii  giorni indisposto di salute, come è il mio solito nell’inverno.." 
-ALL’AVV. ALESSANDRO FRANCHI — ROMA
Giovedì 26 aprile 1849 
"...Non vengo in persona impeditone da incomodi di di salute.."

Dalle lettere  al figlio Ciro.Ciro Belli, figlio di G.G.Belli

Nelle lettere scambiate con  il figlio Ciro invece, da padre premuroso, belli cerca di minimizzare i suoi disturbi, probabilmente perchè non vuole preoccupare il figlio.
-A CIRO BELLI — FIRENZE (MA A BOLOGNA)
Di Roma, giovedì 16 settembre 1847 
"..Ti ringrazio de’ voti che formi per la mia salute e per la ilarità del mio spirito. Sii però persuaso che ne’ momenti di ipocondria niun’altra voce potrebbe sollevarmi più della tua. Basta su ciò...
Al mio ritorno sarai più loquace, vero antidoto per vincere il mio raro silenzio.
Su questo non voglio per iscritto alcuna risposta.Quel che io voglio, e desidero, e spero, è che tu ti diverta, che ti abbi riguardo, e che torni a Roma come un toro di robustezza..." 
-A CIRO BELLI — VENEZIA
Di Roma, sabato 18 settembre 1847 
"...La mia salute non è cattiva, e la strappo alla meglio.."
-CIRO BELLI — GENOVA
Di Roma, giovedì 30 settembre 1847
"..La salute mia non è cattiva, meno l’incomodo al capo, faccenda oramai abituale e da lasciarsi andar come vuole.."
-A CIRO BELLI — FRASCATI
Di Roma, lunedì 16 aprile 1849 
"...Circa poi alla salute mia, la strappo come si può. Un giorno
più su, un giorno più giù: l’è proprio come al giuoco dell’altalena, e tutto il malanno procede dalle inclemenze del tempo, che m’impedisce pur di pensare a muovermi un poco, a prendere un alito di aria pura ed esterna, e a godere di qualche divagamento.
Acqua, vento, umido, freddo, fango... Un corpo più saldo del mio se ne riderebbe ma in me certi azzardi riescono sempre fatali, e se mi appresso all’unto (come suol dirsi) ci lascio il pelo. Dunque aspettiamo ed abbiamo pazienza. Ti
ringrazio de’ conforti che cerchi inspirarmi colle tue affettuose parole. Io cerco di
giovarmene per quanto so e posso; ma non ti dissimulo che il mio spirito nel procedere degli anni va calando in forza come il mio corpo. Questa è legge di natura, né deve sorprendere. Basta, confidiamo in Dio, che è Santo grosso.."
-A CIRO E CRISTINA BELLI — FIRENZE
Di Roma, lunedì 24 ottobre 1853 ore 11 antimerid. 
"..Passiamo al capitolo della salute. Io me la tiro vi a discretamente, non essendo altro il mio incomoduccio che una delle solite gnagnere reumatiche, da cui non ho avuto neppurl’ombra di febbre. Mi sono un po’ riguardato per tre o quattro giorni, e non è stato altro.."