Alicata (1943)

Fonte:
Mario Alicata, Lettere e taccuini di Regina Coeli, prefazione di Giorgio Amendola, introduzione di Albertina Vittoria, Torino, Einaudi, 1977.

«Ad ogni modo qui le mie abitudini stanno acquistando un ritmo ed un metodo, soprattutto ora che ho ottenuto i libri. Non i miei, ma quelli della Biblioteca del Carcere. Ho visto il Cappellano, persona molto gentile, che ha subito esaudito il mio desiderio. Nel catalogo che ho potuto consultare (e non credo che sia il solo) non mancano i buoni libri: ne ho segnalati (secondo la regola) una cinquantina, ed ho avuto il Rosso e Nero di Stendhal e il Giansenismo in Italia di Jemolo.»
(Mario Alicata, lettera dell'8 gennaio 1943, p. 11-12. Tutte le lettere sono indirizzate alla moglie Giuliana Spaini).

«Ad Einaudi e agli altri della Casa Editrice, fai i miei saluti ed i miei auguri di buon lavoro. [...] Ti prego di tenermi informato se il lavoro – dopo gli incidenti bellici di Torino – ha ripreso bene e, se ti è possibile, di farmi avere via via i volumi pubblicati. Cosí quando andrò via di qui potrò donarli alla Biblioteca circolante. (La mia gratitudine per questa istituzione è infinita: non per me solo. È uno dei sostegni più solidi che si può offrire ad un detenuto. Dirai a Beppe che se fossi, come lui, magistrato – mi batterei per l'arricchimento costante e il buon funzionamento in tutte le carceri e le case di pena dell'istituzione).»
(lettera del 15 gennaio, p. 18. Giuseppe Alicata, fratello di Mario, era magistrato e lavorava al Ministero di grazia e giustizia).

«Come letture di base vado portando avanti quella del Guicciardini (di cui non mi hai mandato che i tre primi volumi: gli altri sono a casa?), e quella della Logica di Gentile, che ho preso nella Biblioteca locale.»
(lettera del 18 gennaio, p. 21).

«Dirai a Einaudi che ho scoperto (anche la biblioteca del carcere serve alle ricerche bibliografiche) che quel grosso romanzo giapponese – Il Principe Gkenzi [i.e. Ghengi] di Murasaki – che c'era stato proposto di tradurre, è stato pubblicato qualche anno fa (credo parzialmente) dall'editore Corbaccio. Ne tenga conto per la sua decisione.»
(lettera del 22 gennaio, p. 24).

«Ho deciso, visto che lavori d'altro genere è difficile portarli avanti senza una vera biblioteca a disposizione e anche senza un tavolino a cui appoggiare il blocco di carta (scrivere sulle ginocchia non si confà, a quanto sembra, alla critica storica e letteraria), di tentare di realizzare veramente per mio conto personale una prima riduzione cinematografica di Billy Budd. [...] Oltre a ciò [...]  avrei però bisogno del testo di Billy Budd, e inoltre di Moby Dick e dei Drammi marini di O'Neill come materiale d'ambiente e, soprattutto, per rinfrescare il mio vocabolario marinaresco. L'ideale sarebbe poi anche un volume sull'arte della navigazione alla fine del Settecento possibilmente con qualche illustrazione: qui ho trovato nel catalogo della biblioteca la Storia della navigazione di Van Loon che ho già richiesto. Ma non è un libro serio e mi sarà poco utile.»
(lettera del 25 gennaio, p. 27).

«non ho ancora avuto dalla biblioteca locale un paio di volumi di Freud che pure ci sono e che avevo richiesti in lettura!»
(lettera del 19 febbraio, p. 48. Nel Taccuino, alla data del 5 marzo (p. 255), si legge «Ho letto Totem e tabú di Freud», con un commento sull'opera).

«Non ho invece ancora avuto i libri che aspettavo a gloria – perché a parte lo studio del Pareto, che sto rileggendo molto attentamente, sono rimasto all'asciutto. Per fortuna, con i libri del Cappellano ne ho avuti due buoni: la Filosofia del diritto di Hegel, e il primo volume della Storia dell'unità d'Italia dello Spellanzon, che è un'opera seria e di prima mano, ricca di materiale documentario».
(lettera del 16 marzo, p. 69).

«ho consumato la riserva di libri, i nuovi che ti avevo chiesto non sono ancora arrivati (e non capisco il perché: spero proprio che non ti abbiano negato il permesso), e quindi debbo «razionare» accuratamente quelli della biblioteca di qui, per non restare proprio a secco troppo presto.
Per fortuna, questa volta m'è toccato il secondo volume della Storia del Risorgimento dello Spellanzon, che è una lettura utile anche per certo lavoro che vorrei intraprendere quando tornerò a respirare l'aria pura delle strade e quella polverosa (ma di una polvere piú saporita di quella locale) delle biblioteche e degli archivi.»
(lettera del 9 aprile, p. 89).

«Solo soffro molto per la mancanza di libri, di buoni libri: non ho mai sentito tanta sete, tanto bisogno di imparare. E, insieme, la mia ignoranza. Potrò veramente averli i libri che ti ho chiesto? Ma son cosí lenti ad arrivare! [...] Ma per tornare ai libri: ormai son ridotto a quelli della biblioteca di qui, perché ho già quasi letto una seconda volta quasi tutti quelli miei. [...]
Dalla biblioteca ho avuto ultimamente l'ultimo grosso volume dello Spellanzon (l'opera è fino ad ora arrivata al solo IV volume) e L'isola del tesoro di Stevenson. Dallo Spellanzon mi aspettavo molto di piú (ne avevo letto e sentito parlare molto bene). Invece è disperatamente «vuota», vuota di pensiero storico. [...] Ho invece – in un'altra prospettiva – riletto con grande entusiasmo L'isola del tesoro
(lettera del 14 maggio, p. 116).

«Ad ogni modo ritorno all'inizio del mio discorso, e ti ripeto che ho una gran voglia di studiare: e che la vera sofferenza della galera comincia ad essere quella d'aver cosí stentati e limitati mezzi di lavoro. Mentre le condizioni di solitudine in cui mi tocca vivere sono non solo uno stimolo ma anche sarebbero un'ottima condizione per questo lavoro: un raccoglimento cenobitico! Insomma: una specie di supplizio di Tantalo, che non può essere certo alleviato dalle casuali e disperse letture che t'offre la biblioteca di qui (la quale tuttavia è un grande ed enorme conforto!) [...] In questi giorni leggo la Storia di Israele di Giuseppe Ricciotti – che è anche l'autore di quella Vita di Gesú, che, ricordo, stava avendo un grande successo verso l'epoca nella quale fui arrestato.»
(lettera del 18 maggio, p. 120).

«Dalla biblioteca di qui ho avuto anche due romanzetti «classici», due vecchie letture: che m'hanno anch'esse deluso. Del Vicario di Wakefield – strano – io conservavo tutt'altro ricordo, ma evidentemente era un ricordo falsato dalla «convenzione» critica intorno ad esso: delizioso, fresco, candido, ecc. Tutte sciocchezze.»
(lettera dell'11 giugno, p. 141).

«Potresti cominciare da Gentile: quelli di pedagogia sono i suoi libri più facili ed interessanti. [...] I libri del Gentile utili a conoscersi sono (nell'ordine): La riforma dell'educazione, Sommario di pedagogia, Sommario di didattica. Io debbo la loro lettura alla biblioteca del carcere. (Non ti ho mai detto, mi sembra, che debbo alla stessa biblioteca la lettura, rifatta con ben altra efficacia d'una precedente, delle tre «critiche» kantiane). Purtroppo non posso togliermi una grande «sete»: lo studio, di cui sento un enorme bisogno e necessità, di Aristotele, di Bacone, di Galilei e di Hegel.»
(lettera del 16 luglio, p. 172).

Nelle lettere e nei taccuini sono menzionate numerose altre letture dei mesi trascorsi in carcere, senza indicazioni esplicite sulla loro provenienza.

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