I mulini

La forza motrice dell’acqua è stata utilizzata fin dai tempi antichi per ottenere energia meccanica con la quale si azionavano differenti tipi di macchine. L’esempio più conosciuto è sicuramente quello dei mulini dove l’acqua, opportunamente incanalata, faceva girare una particolare “ruota” alla quale era collegata, attraverso degli ingranaggi, la macina. Numerosi altri “opicifi” sono stati nel tempo azionati dall’energia idraulica come le gualchiere collegate ai derivati dell’economia armentizia (tessuti di lana) tipica dei territori appenninici.

Durante il medioevo, nel reatino, in Sabina e nel Cicolano, le prime testimonianze relative ai mulini ad acqua risalgono al sec. VIII e riguardano due impianti del monastero di Farfa, ma più avanti si moltiplicarono e per fronteggiare le esigenze di approvvigionamento della città, si sfruttarono le risorse idriche disponibili sia dentro che fuori le mura. 

Fortemente voluti e incentivati dai monaci farfensi, essi erano presenti in massiccia quantità sul fiume Velino, sul torrente Cantaro, in Sabina lungo il corso del fiume Farfa e del torrente Aia. Si trattava di opifici polivalenti, atti a lavorare il grano, l'uva e le olive, grazie alla stagionalità complementare delle diverse produzioni, quindi estremamente importanti per l'economia e il sostentamento delle comunità locali e per questo oggetto di forte interesse anche da parte della Santa Sede.