Le bonifiche dall'età romana all'età moderna

Un osservatorio privilegiato per comprendere in maniera macroscopica le dinamiche del controllo delle acque nell’area Sabina è certamente la piana di Rieti, che per circa quattro millenni è stata il teatro della dialettica tra antropizzazione e ambiente umido. Un dato cronologico da cui non si può sfuggire e che segna, di fatto, l’inizio di un processo di pianificazione di conquista delle acque, è il III sec. a. C., il periodo della romanizzazione della Sabina: la piana reatina, dopo la millenaria esperienza dei villaggi perilacustri di età protostorica, sarà solo in questo momento rioccupata da insediamenti di natura produttiva quali fattorie e ville rustiche.  L’obiettivo da parte dei romani era dunque quello di ripopolare il territorio per sfruttarlo a fini agricoli; propedeutica all’occupazione stabile era una grandiosa e articolata opera di bonifica di un bacino lacustre unitario che occupava la parte centro-settentrionale della piana di Rieti: il Lacus Velinus, formatosi a partire almeno dall’VIII sec. a.C. Il progetto poggiava su un’opera cruciale e dal grande impegno costruttivo: la realizzazione di un canale che potesse convogliare e direzionare le acque del fiume Velino presso la caduta delle Marmore (cava curiana) e da una fitta rete di canali nella conca velina. In poco tempo quello che era un acquitrino si trasformerà in un paesaggio agrario fondato sul principio varroniano del quam sationem imponut, contapposto ad una condizione meramente naturale di quam naturam dat.