La miniera di Monteponi
print this pageLe risorse minerarie piombo argentifere dell'area che oggi coincide con la miniera di Monteponi, situata presso Iglesias, furono oggetto di sfruttamento da parte di cavatori già nel 1600 ma solo nel secolo successivo l'attività estrattiva si fece sistematica. Nel 1725 fu costruita la prima fonderia della miniera, ubicata a nord di Iglesias, lungo il corso del Rio Canonica. In seguito la miniera passò nelle mani di diversi successori che non riuscirono a portare la produzione a regime e, sistematicamente, ne abbandonarono lo sfruttamento.
La situazione cambiò nel 1840, grazie alla nuova legge dello Stato Sabaudo, che scisse per la prima volta, il diritto di proprietà del suolo da quello di coltivazione delle risorse del sottosuolo.
Fu così che, nel 1850, un gruppo di imprenditori, riuniti nella società di Monteponi e guidati da Paolo Antonio Nicolay, ottenne una concessione trentennale per lo sfruttamento delle risorse iglesienti. La miniera venne così gestita con risultati positivi ma senza particolari investimenti dal punto di vista tecnologico ed economico almeno fino al 1861, quando la direzione passò nelle mani dell'Ingegnere Adolfo Pellegrini e la presidenza fu affidata a Carlo Baudi di Vesme. Sotto la loro gestione si procedette all'acquisto della miniera di San Giorgio, all'ottenimento del permesso per l'estrazione a Campo Pisano e all'inizio delle attività di sbancamento nell'area di Is Cungiaus.
La svolta nell'attività mineraria si ebbe, soprattutto dopo il 1870, con l'entrata in servizio della linea ferrata, intitolata proprio al presidente Vesme. Sorsero così strutture e impianti strategici per la miniera, come le laverie semimeccaniche di Nicolay e Villamarina, che si aggiunsero al già esistente pozzo Vittorio Emanuele e alla palazzina Bellavista, realizzati entrambi negli anni Sessanta dell'Ottocento.
L'ultimo trentennio del secolo si caratterizzò per la necessità di fronteggiare un problema di grande rilievo per l'attività estrattiva, l'eduzione delle acque, con cui si cimentarono, in particolare, il successore di Pellegrini, Erminio Ferraris e l'avvocato Roberto Cattaneo. Questo annoso problema fu risolto nel 1889, con la realizzazione della galleria Umberto I, lunga oltre quattromila metri.
Il periodo di attività della miniera di Monteponi, caratterizzato dalla figura dell'Ingegnere Erminio Ferraris, si distinse per una illuminata escalation di innovazioni tecnologiche, dalla costruzione di una moderna fonderia, all'ultimazione della laveria Calamine (1887) e della laveria Mameli (1893).
L'attività della miniera procedette spedita fino al primo conflitto mondiale e lo superò con successo, quando nel 1926, l'ormai divenuto presidente Ferraris, inaugurò l'innovativo impianto di elettrolisi dello zinco. Gli anni Trenta del Novecento segnarono un periodo di flessione per l'attività della società e si caratterizzarono per eventi significativi come la fusione della Monteponi e della Montevecchio nella Società Italiana del Piombo.
Durante la seconda guerra mondiale la produzione collassò per poi riprendere subito dopo il conflitto, ma senza grossi successi. Dagli anni Sessanta in poi alla gestione della miniera si succedettero diversi gruppi, dalla statale EGAM alla Società di Ricerche Gestione e Ristrutturazione delle Miniere Sarde (Sogersa), formata dall'AMMI, dalla Regione Sardegna e dalla Società Montedison.
Nel 1982 l'ENI e la Samin acquisirono la Monteponi insieme alla maggior parte delle aziende piombo-zincifere, tutte oramai nelle stesse precarie condizioni economiche e, nel 1987, passarono alla Società Italiana Miniere. Il crollo dei prezzi del piombo e dello zinco sul mercato internazionale e il progressivo impoverimento del minerale estratto nella miniera di Monteponi, non consentirono di riportare le attività estrattive agli antichi lustri e, nei primi anni Novanta del Novecento, si dovette procedere alla definitiva chiusura dei cantieri.
Ciò che resta degli impianti estrattivi della miniera di Monteponi, che nella sua lunga attività divenne un vero e proprio fiore all'occhiello dell'industria estrattiva nazionale, oggi fa parte del patrimonio storico-culturale e tecnico-scientifico del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna.