Amsicora (1903)

Amsicora

Nella storia della cultura sassarese un evento musicale rappresenta in modo assai efficace il grado di  maturazione cui era giunto – alla fine del secolo – l’approccio amatoriale alla musica da parte dei ceti intellettuali della città. Si tratta dell’allestimento dell’Amsicora, ultimo lavoro dedicato al teatro musicale dal compositore Luigi Canepa, andato in scena al Politeama il 29 aprile del 1903.

L’Amsicora è un lavoro d’occasione, commissionato a Canepa dall’Associazione Universitaria per  uno spettacolo teatrale benefico il cui incasso sarebbe stato devoluto alla Cassa di soccorso per gli studenti bisognosi. Ispirata al celebre episodio della storia sarda riportato per la prima volta dallo storico Tito Livio, l’Amsicora si basa su un libretto scritto da Salvatore Scano, avvocato e poeta nonché redattore letterario della «Nuova Sardegna», il quale concepì una gustosissima parodia del dramma storico Amsicora ossia supremo sforzo per la sarda indipendenza scritto nel 1865 dal rettore del Convitto nazionale di Sassari Bartolomeo Ortolani per una recita degli stessi allievi del convitto.

Canepa affrontò la stesura della partitura con grande impegno, desideroso di riscattarsi da quella condizione di emarginazione dalla vita musicale della città in cui era stato relegato. Il compositore scrisse l’opera alla sua maniera, fondandola dunque su materiali musicali e stili melodrammatici colti, serissimi, accostati però ad una sostanza teatrale e letteraria segnata da un continuo atteggiamento goliardico che va dalla irriverente citazione della letteratura 'scolastica' alla parafrasi scherzosa del teatro italiano ottocentesco: la comicità viene generata appunto da questo ambiguo e apparentemente non risolto accostamento di un linguaggio melodrammatico forbito con le goliardie verbali e con trasgressioni operate sul piano squisitamente teatrale.

Tra i motivi d’interesse prettamente musicali di questa singolare partitura citiamo l’inserimento, nel secondo atto, di due brani musicali ispirati all’etnofonia sarda, che oltre a costituire una pennellata di colore locale rappresentano una delle primissime testimonianze di rivisitazione colta di materiali musicali tradizionali della Sardegna. Nel primo di questi due brani (si tratta di un duru-duru) Canepa ricrea in modo originale, attraverso una strumentazione tutta giocata sul colore dei legni, il suono delle launeddas e lo spirito del ballo tradizionale. Il secondo è il brano tradizionale logudorese Murinedda mia.

Il principale motivo d’interesse di questo lavoro rimane peraltro la sua destinazione amatoriale. L’Amsicora venne infatti scritta per una compagnia di canto formata interamente da studenti universitari i quali si cimentarono quindi con una partitura che, accanto alla citazione di materiali musicali poco nobili (l’Inno universitario, Bella non piangere, Addio mia bella addio e la stessa elaborazione dei brani sardi), presentava continui richiami verdiani e perfino belliniani. Tra gli interpreti citiamo – a titolo d’esempio – Angelo Ponzeveroni (Amsicora), allora studente in farmacia, e Alberto Arborio di Sant’Elia (Inoria), studente in giurisprudenza che dopo la laurea si sarebbe votato al sacerdozio. Si trattava sicuramente di amatori per così dire evoluti, capaci di mettersi alla prova in un allestimento operistico di approccio non propriamente semplice. Se è vero infatti che la vocalità di quest’opera reca i segni di una destinazione amatoriale, evidente nella compressione delle tessiture vocali nei 'centri' di ciascun registro e nel ricorso ad uno stile declamatorio, è altrettanto vero che la partitura nel suo complesso si presenta perfettamente rispondente ai modelli tipici del melodramma italiano del secondo Ottocento.

Anche il direttore d’orchestra della prima (così come dell’allestimento bolognese del 1904) era uno studente, fresco della laurea in legge: Giuseppe Abozzi, soprannominato «Mascagnino». Futuro deputato, Abozzi fu per il resto della sua vita un musicofilo coltissimo e raffinato, come testimonia la sua ricca biblioteca musicale che si è conservata integra sino ai nostri giorni.

[da: Antonio Ligios, Un'opera destinata agli amatori, in Musica e musicisti in Sardegna, vol. 3: Cappelle, teatri e istituzioni musicali tra Sette e Ottocento, Sassari, Delfino, 2005]