- Fonte:
- Miriam Mafai, Una vita, quasi due, a cura di Sara Scalia, Milano, Rizzoli, 2012.
«Per affrontare un esame di riparazione di greco, in mancanza di un testo che avevo lasciato a Genova, avevo deciso di frequentare, con mia sorella Simona, la Biblioteca Nazionale che aveva sede allora nel palazzo del Collegio Romano che, istituito a suo tempo da Ignazio di Loyola come luogo di formazione dei gesuiti, ospitava ormai, da quasi cento anni, il liceo Visconti, che divideva allora, con il Tasso, il titolo di migliore liceo classico della città. Mia sorella ed io decidemmo dunque di passare le nostre giornate in biblioteca, io per recuperare il mio ritardo di greco, lei per leggere e studiare un libro di Labriola che pare avesse, in appendice, il Manifesto dei comunisti. (Lo aveva, effettivamente, e mia sorella lo studiò con diligenza).
La Biblioteca Nazionale era, ed è rimasta per me indimenticabile, un luogo straordinario, di silenzio e di studio. Ne ricordo l'ingresso con il banco per le richieste dei libri, e subito dopo le sale riservate alla lettura con i lunghi tavoli di legno scuro, le lampade con l'abat-jour verde, tante giovani teste chinate sui libri. Per fumare si usciva sul pianerottolo, davanti a un finestrone che affacciava sul cortile interno del liceo.
E fu lì che incontrammo il primo comunista della nostra vita: un giovane colto elegante e presuntuoso che amava i libri (scoprimmo che stava leggendo Malraux) e ancor più il cinema. “Sapete chi è Luchino Visconti?” ci chiese con una punta di ironia e di arroganza, Noi rispondemmo di sì. Incoraggiato dalla nostra evidente simpatia e curiosità, ci confidò di essere un suo collaboratore. Noi non gli credemmo. Ma era vero, quel giovane biondo, che si chiamava Rinaldo Ricci, aveva anche le chiavi della casa di Visconti, un villino sulla Salaria, dove poteva ricevere talvolta i suoi amici e le sue amiche. Ci rivedemmo nei giorni successivi sempre davanti al finestrone del secondo piano dalla Biblioteca Nazionale. Era comunista, ci confidò, ma non era autorizzato a farci entrare nell'organizzazione. Tuttavia conosceva qualcuno che avrebbe potuto farlo, se volevamo. Fu così che entrammo in contatto con Rodolfo Coari. Mia sorella Simona ed io lo incontrammo da Giolitti, via degli Uffici del Vicario, esattamente dove sta ancora adesso, davanti a una tazza di finta cioccolata fumante. Non ricordo cosa ci chiese, né cosa gli dicemmo, né cosa ci disse lui, ma da allora sia io che mia sorella fummo considerate iscritte al Pci.»
(Miriam Mafai, Una vita, quasi due, p. 63-64)