Bonsanti (1996)

Fonte:
Sandra Bonsanti, Una cronaca del ’44, «Antologia Vieusseux», n.s., a. 2, n. 3/4 (settembre 1995-aprile 1996), p. 9-13.

«Pochi momenti dopo il tuono che quella notte del 3 agosto 1944 squarciò i ponti di Firenze sentimmo sopra le nostre teste il rumore degli stivali chiodati. L'antico portone non aveva retto allo spostamento delle mine, erano arrivati. I soldati tedeschi che entrarono in Palazzo Strozzi erano stanchi, impauriti e inferociti, certi ormai della ritirata. C'erano molti feriti e diversi morti. Uno di loro rimase abbandonato sulla destra dell'ingresso alla sala della distribuzione dei libri e per tanti anni la macchia di sangue non se ne andò. Così come c'è ancora, lassù in alto, la pietra scheggiata da una cannonata e rivederla, ogni tanto, mi rassicura che il tempo non cancella del tutto le cose del passato.
Cominciò quella notte una convivenza tra un pezzo d'esercito nemico e una moltitudine di sfollati che in Palazzo Strozzi e nelle sale del Vieusseux avevano cercato rifugio nei giorni della battaglia e della liberazione di Firenze. [...]
Mio padre e mia madre, che parlava il tedesco, tennero insieme e fecero coraggio a quella piccola folla di fiorentini arrivati da strade e da storie diverse, alcuni dei quali, se individuati, rischiavano tutto. Gente diversa: c'era la pittrice ebrea Adriana Pincherle, sorella di Alberto Moravia, con il marito, il grande pittore Onofrio Martinelli. C'erano sconosciuti corsi a proteggersi dalle bombe nel sotterraneo più sicuro nel cuore della città. C'era una Rucellai, americana, con le figlie e una chitarra preziosa. C'erano i Berlini, storici portinai di Palazzo Strozzi. E c'eravamo noi: mio padre, direttore del Vieusseux dopo Montale, con mia madre ebrea incinta di otto mesi. Delfina, la tata di sempre. Mio padre non aveva voluto abbandonare la biblioteca a lui affidata nei giorni più pericolosi e per questo il Vieusseux e Palazzo Strozzi furono anche la nostra casa, il nostro rifugio e il luogo di incontro di tanti amici che in quel mese di agosto arrivavano, sfidando i franchi tiratori fascisti organizzati da Pavolini, da altre parti della città a vedere come stavamo, a cercare notizie degli altri, quelli che erano in prima linea.
Cominciammo a viverci verso la fine di luglio. [...] Il Vieusseux era stato chiuso al pubblico pochi giorni prima, quando un'abbonata era stata ferita nella sala della distribuzione dei libri, all'incirca dove c'è il grande camino, da un colpo sparato dai franchi tiratori appostati nei locali della Banca Commerciale.
Noi ci accampammo nello studio di mio padre, ma da subito al Vieusseux (per tanti anni Vieusseux e Palazzo Strozzi significarono all'incirca la stessa cosa) cominciarono ad arrivare gli altri che avrebbero diviso con noi i giorni dell'emergenza e della liberazione. Mio padre con il signor Bertini e Onofrio Martinelli ogni tanto spariva giù per la scaletta a chiocciola, quella di ferro che c'è ancora in fondo alla stanza. Giù, nel sotterraneo dove erano raccolti tanti libri e anche quelli più rari, laggiù arrivavano le aperture della rete fognaria. Furono esplorate a lungo tutte le possibilità di fuga e di tentativo di raggiungere l'Oltrarno, fu disegnata una mappa secondo istruzioni che mio padre aveva ricevuto da Carlo Emilio Gadda. Io dormivo sull'unico materasso disponibile, sotto uno dei grandi finestroni.
Poi venne la notte tra i1 3 e il 4 agosto. [...] E fu allora, dopo uno dei diversi boati che accompagnavano la distruzione dei cinque ponti, che il portone si spalancò. Forse adoprarono anche qualche bomba a mano. Noi sentimmo i passi, poi la porticina sulla scala a chiocciola fu aperta e qualcuno ci gridò di salire uno alla volta. Loro non si fidarono di scendere, temendo qualche agguato.
Mio padre chiese di parlare con il colonnello. Eravamo ancora tutti ammucchiati nel suo studio, attorno a noi piombavano grida e ordini incomprensibili, la mamma faceva quel che poteva con la sua traduzione. Ricordo un urlo del babbo: «No, non sui libri», ma ormai era troppo tardi. In quella immensa confusione un tedesco aveva afferrato l'unico fiasco d'olio che avevamo e credendolo vino ne aveva bevuto una sorsata. Per la rabbia lo scaraventò su uno scaffale. Cominciò la trattativa per salvare i libri. Il colonnello era un tipo colto, raccomandò a mio padre di nascondere i volumi preziosi perché non rispondeva dei suoi uomini. Lui diceva di apprezzare la letteratura. Furono subito scelti alcuni volumi (mi piacerebbe oggi ricordarmi quali) e subito messi da parte. Molti altri furono rovinati perché i tedeschi in quegli otto giorni che passarono al Vieusseux e nelle altre sale del palazzo, si divertivano a staccare le pagine per pulirsi. Moltissimi libri tedeschi furono portati via quando se ne andarono.
[...] Credo che se non ci fosse stato quel colonnello «colto» non sarebbe bastata la nostra presenza lì a salvare il patrimonio della biblioteca. Quando erano ubriachi i tedeschi bruciavano e strappavano qualunque cosa avessero a portata di mano. [...]
Se ne andarono anche loro nella notte tra il 10 e l'1l agosto. Sentimmo ancora i loro passi chiodati, si muovevano in fretta, penso che tutti quei libri tedeschi che mancarono fossero già partiti insieme alle altre ruberie di opere d'arte. Lasciarono un pacco di uova e farina con un biglietto: «per donna incinta». E questa volta mio padre non potè impedire che ci sfamassimo tutti. Suonò, alle 6,45, la Martinella di Palazzo Vecchio.
Noi restammo al Vieusseux per tutto il mese, fino ai primi di settembre. [...] Arrivavano a dividere con noi l'unico pasto della giornata Gadda, Giacomo Devoto con la sua famiglia, altri amici. Il 14 agosto Gadda passò l'Arno per andare verso Roma. Nello studio del babbo si pensava già al giornale che avrebbero fatto un giorno, al più presto, lui, Montale, Gadda e gli altri. Aveva deciso che si sarebbe chiamato «Il Mondo», in omaggio alla cultura e alla politica che avrebbero guardato fuori dai confini del Paese distrutto e ferito. Facevano progetti. Speravano. Accanto a mio padre e insieme a lui, appena fu possibile circolare per la città, Ugo Fabbri, Lorenzo Vezzosi, Ugo Marinari e Mauro Fabbri riaprirono la biblioteca, fieri di aver contribuito a salvarla per gli «abbonati» che l'avrebbero ritrovata quasi intatta. Le difficoltà finanziarie continuarono a lungo. Ma spesso, quando arrivava uno stipendio, lo dividevano fra loro.».

(Sandra Bonsanti, Una cronaca del ’44, p. 9-13).

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