- Fonte:
- Giorgio Petrocchi, Segnali e messaggi, Milano, Rusconi, 1981.
«L'acuta e vivissima personalità di [don Giuseppe] De Luca andava conosciuta, peraltro, soprattutto su un piano di ritratto d'uomo. Altri potrebbe ricordarlo nella redazione dei giornali, negli studi dei pittori; piace a me rammentarlo nella sala dei manoscritti della Biblioteca Vaticana, nel luogo dove aveva studiato per quasi quarant'anni: non alto, nervoso, coi capelli ancora nerissimi, due occhi aguzzi, passava quasi di corsa tra i banchi della Biblioteca, la berretta in capo, la mantella svolazzante, sollevando una folata di vento; e poi chino sui codici: quante cose sapeva, e come la vastissima erudizione diveniva umana, nelle sue parole e negli scritti, quasi un personaggio vivente.»
(Giorgio Petrocchi, Don Giuseppe, in Segnali e messaggi, p. 147-150: 147-148).
«Del resto le amicizie difficili sono sovente le più utili, poiché nella quiete dopo la tempesta del «maledetto toscano» trovavi fluire paciosamente il comune interesse, anzi culto di Dante, e l'elargizione dell'animus di [Bruno] Nardi diveniva illimitata, deputata più al dono che allo scambio delle proprie acquisizioni, disponibile sempre e comunque, paziente ascoltatore dei tuoi guai di filologo e d'erudito in cerca d'un bandolo, fluente narratore dei propri lavori e scoperte in un modo estremamente singolare, non solo, come ha ricordato Gregory, presupponendo un interlocutore al suo stesso livello, ma pur anco quando t'aggrediva sulle scale della Vaticana, e tu restavi incapace di raccapezzarti nel ricordare a che punto del discorso era arrivato nell'incontro precedente, ché egli imperterrito riprendeva la sua storia erudita come si fosse fermato soltanto un momento per accendere il sigaro o scrollarsi la cenere dal gilè, e non fosse invece trascorso magari un mese dall'incontro precedente.»
(Giorgio Petrocchi, Ser Brunetto, ivi, p. 113-120: 114).