L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.
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Risultati della ricerca
Vossler-Croce (1921-1935)
«Il Seminario romanzo della nostra Università è abbonato da qualche tempo alla «Critica», di cui ho potuto procurargli la maggior parte dei numeri arretrati. Ora l'abbonamento minaccia di divenire impossibile. [...] Ventidue franchi sarebbero all'incirca 400 marchi, una somma che il Seminario che dispone di circa mille marchi all'anno non può spendere per una sola rivista. Se tu dicessi al Laterza di pazientare e di aspettare che la nostra valuta si rialzi un poco, ci potremmo forse accomodare; altrimenti dovremmo disdire l'abbonamento e rimandare i fascicoli, il che mi dispiacerebbe assai, dato che perfino la Staatsbibliothek di Monaco ha dovuto interrompere l'abbonamento alla «Critica». I nostri studenti non la vedrebbero più. Certo, non si sa come andranno le finanze tedesche, una catastrofe non è esclusa; e non io posso imporre al Laterza un sacrificio azzardato.»
(Karl Vossler, lettera a Benedetto Croce, München 22 ottobre '21, p. 294, e cfr. anche p. 283. Laterza continuò a mandare la rivista a Monaco e anche ad altre biblioteche tedesche).
«A proposito di recensione, il Klemperer fece una recensione del libro su Dante che non ho mai avuta, sebbene l'abbia scorsa in una biblioteca, e mi piacerebbe possederla.»
(Croce, lettera a Vossler, Bardonecchia 26 agosto '23, p. 305. Il saggio di Viktor Klemperer, Der fremde Dante (Nach dem Jubiläum 1921.), comparve in una miscellanea di studi in onore: Hauptfragen der Romanistik: festschrift für Philipp August Becker zum 1. Juni 1922, Heidelberg, Winter, 1922, p. 238-255).
«Ma, quando mi sarò sbrigato di queste ed altre cose minori, penso di rimettermi a studiare la Germania della fine del Settecento, cioè dell'epoca in cui germinarono tutti i pensieri di cui ancora viviamo. Allora mi toccherà di fare qualche soggiorno in Germania per adoperare le biblioteche di costà.»
(Croce, lettera a Vossler, Napoli 22 novembre '29, p. 335).
«Quando verrai in Germania, e spero che sarà presto, ti prego di considerare casa mia come tuo quartier generale. Ti installeremo in questo Maximilianeum con tutti i comodi necessari per uno studioso, e le nostre biblioteche ti forniranno tutto quello che ti potrà servire.»
(Vossler, lettera a Croce, München 21 dicembre '29, p. 336).
«Io ho lavorato al solito. Ho compiuto un volume di Vite romanzesche, che mi è costato molte ricerche di archivi e di biblioteche, in Italia, in Francia e in Svizzera. Le andrò pubblicando via via nella «Critica».»
(Croce, lettera a Vossler, Napoli 24 novembre '32, p. 347).
«A Zurigo ho fatto un primo tentativo di trovar quel libro, o periodico che sia, «Walpurgis». Nessuno lo conosceva. Vedrò fra qualche giorno, quando si riapriranno le biblioteche, dopo il primo di maggio, di rintracciarlo qui.»
(Vossler, lettera a Croce, München 30 aprile '33, p. 353).
«Ho trovato ormai quel libro che cercavi: eccotene il titolo esatto: Julius Franckenberger [ma Frankenberger], Walpurgis, zur Kunstgestalt von Goethes Faust, Leipzig, bei E. Wiegandt, 1926, 128 pp. – L'ho comprato e te lo faccio mandare per il mio libraio, e ti prego di accettarlo; è una piccolezza.»
(Vossler, lettera a Croce, München 3 maggio '33, p. 353-354).
«Tra le tante cose letterarie che ho scritte o preparate, c'è anche una memoria su una poco o nulla conosciuta raccolta che abbiamo a Napoli: la biblioteca tedesca della regina Carolina d'Austria, che tra il 1780 e il 1803 si faceva spedire da un libraio tedesco tutte le novità della letteratura, specialmente romanzesca, ma anche varia, educativa, morale, storica, aneddotica, ecc. Sono più di 4.000 opere o di 8.000 volumi. Non credo che quella regina, quantunque tedesca, ne leggesse niente: leggeva libercoli francesi. Ma è una collezione, nel suo genere unica, che forse manca anche alle biblioteche tedesche, e potrà essere assai utile agli studiosi di quell'età. Quando tornerò a Napoli, completerò e pubblicherò la memorietta che ho stesa sull'argomento.»
(Croce, lettera a Vossler, Meana 20 luglio '33, p. 356-357).
«Il libro del Riedel esiste in tutte e due le edizioni, nella nostra Staatsbibliothek. Le due copie saranno inviate alla biblioteca nazionale a Napoli per uso tuo. Mandarle personalmente non si può.»
(Vossler, lettera a Croce, München 28 dicembre '33, p. 364).
«L'Auskunftsbureau della Staatsbibliothek di Berlino mi scrive che il Trattato politico di Diego Duque de Estrada non si trova nelle biblioteche di Berlino (né si trova a Monaco), ma che le ricerche si continueranno nelle altre biblioteche.»
(Vossler, lettera a Croce, München 14 luglio '35, p. 369).
«Grazie per le notizie circa il libro del Duque. Anche la notizia negativa è qualche cosa.»
(Croce, lettera a Vossler, Meana 12 settembre '35, p. 370).
Vugliano (1943)
«Comune luogo di ritrovo con Gozzano e gli amici era la Società di Cultura, frequentata anche dalla calma luminosa Carola Prosperi con seguito di maestrine e dalla solitaria tenebrosa Amalia Guglielminetti. Quando v'entrava la banda Gozzano, addio pace studiosa là dentro! Facce sgomente si levavano dai libri: rivedo quelle di Ruffini e Mosca, nostri professori all'Università, dei seri compagni Calcaterra, Fassò, Caristia, oggi professori universitari anch'essi. Tutte invocavano un po' di silenzio. E Gustavo Balsamo Crivelli, che era, se ben ricordo, il bibliotecario: «Prrego, Gozzano, anche un po' più di rrispetto per i librri». Perchè Gozzano vi pupazzettava sui margini vergini folli. E poi erano scherzi come lo spostamento di tutti i soprabiti nell'anticamera, sicchè, all'uscita, più nessuno ritrovava il proprio: e a un distratto, quanto illustre professore di criminologia, accadeva d'infilarsi, lui bassotto, quello del lunghissimo suo genero. La nostra turbolenza si spinse a tal punto da essere messa all'ordine del giorno in un'assemblea societaria. Poichè le rimostranze non finivano più, Gozzano propose, firmata da tutta la banda, una «mozione d'ordine», la quale invitava gli oratori a parlare stando su una gamba sola.»
(Mario Vugliano, Gozzano studente, «Corriere della sera», 68, n. 30 (4/5 feb. 1943), p. 3).
Zagaria (1910)
«Così, la mancanza di quattrini distoglie dallo studio; la mancanza dallo studio impedisce di guadagnar quattrini. Quindi, nè biblioteche, nè librerie private, nè bisogno di biblioteche o di librerie. [...]
Intorno al 1896, l’editore Valdemaro Vecchi con l’aiuto dei professori Attilio Butti e Vincenzo Costanzi, aveva aperta una buona bibliotecuccia; ma dovette smettere; e Trani, che ha discrete librerie private, rimane senza una biblioteca pubblica. Ora la tipografia Vecchi e C.i ha una piccola libreria, commerciale, costituita da libri stampati per conto o proprio o del Laterza. Altre città, invece, hanno biblioteche discretamente fornite. La comunale «Sabino Loffredo» di Barletta, alla quale è annesso un museo di antichità cittadine insieme a una galleria di quadri di autori barlettani, tra i quali primeggia il De Nittis, possiede ottomila opere, di cui i tre quinti provengono dalle corporazioni religiose disciolte nel 1809, e viene frequentata con una media di duemila richieste, vi si leggono, di preferenza, libri storici e letterari, il cui acquisto è agevolato dal sussidio di cinquecento lire annue! Bitonto aveva la biblioteca circolante «Giordano Vitali», fondata nel 1890 dal Prof. Colella, e sostenuta da un consorzio si sessanta signori, che nel 1894 già contava seimila volumi, e aveva in mira la diffusione degli studi sociali. Quella di Bari, intitolata dal comm. Domenico Sagarriga-Visconti-Volpi [Biblioteca nazionale di Bari], al quale deve l’origine pel dono di ottomila volumi e pel sussidio di ottocento lire annue, possiede un archivio di opere rare inedite e manoscritti concernenti non solo la storia barese ma anche quella d’Italia, con un fondo di più che quarantacinque mila volumi. E, se si volesse uscire dai confini propostici, sarebbero da menzionare la importante biblioteca di Foggia [Biblioteca provinciale La Magna Capitana]; quella di Lucera [Biblioteca comunale Ruggero Bonghi], che dal 1817 in cui venne fondata dal marchese Pasquale de Nicastri col dono di cinque mila volumi è giunta a contarne adesso più di ventimila, in svariate materie; quella di Taranto [Biblioteca civica Pietro Acclavio], fondata dal ministro delle Due Sicilie Domenico Acclavio e dal nipote Pietro, ricca delle più importanti opere di letteratura e di giurisprudenza uscite fino al 1870, con edizioni rare e libri antichi e moderni di diritto romano e feudale; quella di Lecce [Biblioteca provinciale Nicola Bernardini], di più che ventimila volumi, deficiente di opere moderne, alla cui mancanza devesi lo scemato numero dei lettori»
(Riccardo Zagaria, La Provincia di Bari. II, «La Voce», 2, n. 7 (27 gennaio 1910), p. 253-254: 253)
Zanfrognini (1909)
«La biblioteca Estense è ricchissima, ma d’opere antiche soltanto; fino a pochissimi anni fa del D’Annunzio non aveva che la Figlia di Jorio; soltanto ora, per opera del solertissimo direttore cav. [Francesco] Carta, che pure è un erudito ma niente affatto modenese, abbiamo una biblioteca che sta al corrente in modo incomparabilmente superiore per esempio, alla Comunale di Bologna. Le opere filosofiche, acquistate in relativa abbondanza, costituiscono un merito per il Cav. Carta tanto maggiore in quanto egli non è filosofo e in quanto tali opere non sono, se non scarsamente, richieste.»
(Pietro Zanfrognini, Modena, «La Voce», 1, n. 46 (28 ottobre 1909), p. 192-193: 193)
Zangrandi (1962a)
«Noi ci trovavamo, in quell’epoca, a metà del nostro viaggio. Avevamo compiuto la parte negativa del percorso, ci eravamo liberati, in buona parte, dalla cortina di ignoranza e dall’inganno con cui il fascismo ci aveva irretito; avevamo raggiunto l’antifascismo. [...]
Rammento che, in quel periodo, andammo a ricercare in biblioteca, nelle collezioni dei giornali dal ’25 al ’32, le cronache giudiziarie dei maggiori processi politici. Ne ricavammo scarsi elementi. Apprendemmo fatti, nomi, circostanze mai fino allora neppure sospettati. Ma come avevano lavorato, come si erano organizzati quegli antifascisti seri, qualificati, meritevoli di cosí feroci condanne, restava un mistero, una realtà inafferrabile.
Cosí, alle prime riprese di contatto, agli inizi del ’37, la volontà di operare appariva robusta in tutti.»
(Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, p. 100. La prima edizione dell'opera uscì alla fine del 1947 con la data del 1948).
Zangrandi (1962b)
«Qualche giorno dopo [la visita di Hitler a Roma, tra il 3 e il 9 maggio 1938], mentre ancora perdurava a Roma l’eco delle grandi manifestazioni ufficiali tenute in onore dell’ospite tedesco, distribuimmo all’Università alcune centinaia di volantini, avendo cura di depositarli nei banchi delle varie aule e negli schedari della biblioteca Alessandrina e poi, all’ultimo momento, simultaneamente nei corridoi, sulle scale e lungo i viali.
Il testo, a sfondo patriottico, incitava gli studenti a ribellarsi e a manifestare contro l’alleanza con i nazisti. Sull'angolo di ogni manifestino era impresso un tricolore e un fascio: il che pensammo di fare, sia per complicare le indagini e sia per dare alla manifestazione carattere di maggiore gravità, attribuendola a giovani fascisti dissidenti.
Non ci parve opportuno conservarne, per la storia, nessun esemplare. Ma sono certo che, alla Direzione generale della P.S., in qualche pratica archiviata tra quelle insolute, debbano ancora trovarsene. Oggi la pratica può essere chiusa: era roba nostra, una delle poche che non ci fu contestata al momento dell’arresto. E lo dichiaro senza millanteria, ma solo per ricompensare la fatica degli agenti che, l’indomani – come ci fu facile constatare –, dopo aver perlustrato tutta la Città universitaria, dovettero chiudersi con gli uscieri in biblioteca, inibita al pubblico per due giorni, a sfogliare pazientemente cataloghi, schedari e libri.»
(Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, p. 166-167. La prima edizione dell'opera uscì alla fine del 1947 con la data del 1948).
Zangrandi (1962c)
«Chi voglia documentarsi al riguardo e individuarne la parte che migliaia di uomini di cultura – antifascisti di dopo il 25 luglio ’43 – ebbero, prima di quella data, nell’educazione fascista del popolo e dei giovani, con conferenze, monografie, volumi, ecc., dovrà prendersi il disturbo di consultare la collezione della rivista Educazione Fascista, divenuta dopo il ’34 Civiltà Fascista, organo ufficiale di quell’Istituto [nazionale di cultura fascista] e, piú ancora, gli “atti ufficiali” che, anno per anno e provincia per provincia, furono pubblicati e dovrebbero rintracciarsi nelle varie biblioteche dalle quali ancora non siano stati fatti sparire, come in parecchie – a quanto mi risulta – è già accaduto.
Devo anzi segnalare, per inciso, che l’“opera di epurazione” delle biblioteche italiane è notevolmente avanzata. E non solo per i citati documenti. Diecine di volumi, di monografie, di riviste che figurano nei cataloghi risultano “mancanti” quando li si chieda in lettura; e diecine di quotidiani e periodici recano la traccia di frettolose operazioni chirurgiche, effettuate a colpi di lamette da barba.»
(Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, p. 367. Al fenomeno l'autore accenna di nuovo alle p. 370 e 393. La prima edizione dell'opera uscì alla fine del 1947 con la data del 1948).
Zanon Dal Bo (1975)
«Il mondo intellettuale italiano non s'è certo distinto, nel ventennio, per diffusa capacità di resistenza al fascismo – per i contrario, se mai –; ma tuttavia gl'intellettuali non fascisti o addirittura antifascisti non mancavano, specie fra gli studiosi indipendenti, o che s'erano resi tali, e fra gl'insegnanti medi. Ce n'erano anche a Venezia, prima e ancor di più dopo la dichiarazione di guerra e dopo l'8 settembre, ed era naturale che s'incontrassero nelle nostre due biblioteche pubbliche, che divennero così ritrovi d'antifascisti prima e anche recapiti della Resistenza poi.
La «Querini» era diretta da Manlio Dazzi, che in una biblioteca in cui era tradizionale la ricchezza dei periodici, non volle mai far mancare ai lettori quelli stranieri, nemmeno nel periodo della più chiusa «autarchia intellettuale»; non volle neppure togliere dagli schedari i titoli delle opere proibite dal regime. La distribuzione, s'intende, n'era regolata con una certa prudenza. Alla morte di Gobetti la «Querini» ne acquistò in blocco dalla vedova tutte le opere nelle varie edizioni e tutti i periodici ch'egli aveva diretto. Questa linea di condotta – nella quale era stato assecondato da Carlo Izzo e Aldo Camerino, suoi amici e collaboratori – non cambiò molto neppure dopo l'8 settembre, quando il direttore dovette rifugiarsi all'estero. [...]
Era naturale quindi che tutti coloro i cui interessi culturali e politici non s'adattavano ai limiti imposti dal fascismo la frequentassero e che dopo l'8 settembre vi si formasse quasi spontaneamente un recapito d'intese cospirative e di scambio, talvolta, di libri e periodi [cioè periodici] clandestini.
La Marciana era un istituto statale e non poteva permettersi un'eguale spregiudicatezza d'acquisti e di resistenze alle disposizioni ministeriali. Io ne conservo, di quegli anni, un caro ricordo legato alla «Critica» di Benedetto Croce; ogni mese mi vi recavo puntualmente il giorno in cui veniva messa in lettura e quasi sempre riuscivo ad essere il primo: quella lettura era un conforto e parecchi lo cercavano insieme con me. Ma certo alla «Querini» la ricchezza di libri e periodici moderni non conformisti era molto maggiore.
In compenso le sale riservate della Marciana, più comode e appartate, erano divenute a poco a poco un vero e proprio recapito di studiosi antifascisti; vi si trovavano spesso, ad esempio, Luzzatto, Zorzanello, Brunetti, Lorenzetti, Tursi; alcuni avevano addirittura inventato la compilazione d'un manuale di Storia per giustificare i lunghi scambi d'idee in cui, nei primi anni della guerra, venivano spesso letti e discussi anche gli appelli che arrivavano segretamente da altre città italiane o dall'estero. Ne ricordo uno di Croce, uno di Sforza ch'era giunto dagli Stati Uniti, quello di Calogero che riassumeva il programma del liberal-socialismo. Il direttore Ferrari sapeva e talvolta partecipava.
Spesso messaggi e giornali clandestini venivano consegnati a Mario Nardo, il giovane impiegato addetto alle sale riservate, che li nascondeva nel mare magnum dei depositi della biblioteca dove sarebbero sfuggiti a qualunque perquisizione; ma lui sapeva sempre ritrovarli, all'occorrenza, per le persone fidate che avessero voluto leggerli o distribuirli.»
(Antonio [Agostino Zanon Dal Bo], Recapiti pericolosi, in: 1943-1945, Venezia nella Resistenza: testimonianze, p. 409-423: 420-421).
Zavattini (1958)
«Caro Mondadori, [...]
Credo sia bene che ti faccia trovare questa esposizione molto alla buona del progetto dell'inchiesta televisiva cui ti accennai, dal titolo provvisorio L'Italia che legge. [...]
Si tratta di un'inchiesta televisiva, dunque, da svolgersi settimanalmente per la durata di sei mesi circa, sul tema L'Italia che legge, con lo scopo di accrescere, con un mezzo di propaganda potente e accetto come la televisione, l'interesse per i libri del nostro tempo, del nostro Paese, per la cultura moderna di cui sono la espressione. In breve, bisogna tentare con la televisione un assalto nuovo, massiccio, metodico, insistente e spettacolare contro l'inerzia dell'italiano, che nelle statistiche dell'ignoranza universale occupa uno dei posti peggiori.
Già centinaia e centinaia di nostri paesi hanno sui loro tetti le antenne televisive, anche i paesi più remoti e poveri; è ormai il panorama odierno. Ma assistiamo contemporaneamente a questo fatto, che in molti di questi paesi non entra ancora non diciamo una biblioteca, ma neanche un libro, e soprattutto non entra un libro di letteratura moderna. Fra i poeti e gli scrittori di questo mezzo secolo e il pubblico ci sono sempre le antiche distanze, i pregiudizi di casta da una parte e un atavico disinteresse dall'altra. Ma per fortuna (o sfortuna, a seconda degli scopi), tre anni di televisione hanno dimostrato che si possono compiere miracoli sulla psicologia del nostro prossimo, si possono mobilitare milioni di occhi, di orecchi, di persone intorno a qualsiasi tema, appassionare la gente a una persona, a un piccolo fatto umano; rendere famoso dalla mattina alla sera chi prima era un ignoto, sollevare delle curiosità, più o meno profonde, ma vaste e piene di conseguenze, negli animi più sordi fino a questo momento. [...]
Questo viaggio, che possiamo definire anti-accademico, potrà essere compiuto ordinatamente dal Nord al Sud o dal Sud al Nord, ma potrà anche svolgersi in modo diverso, cioè le tappe succedersi secondo la necessità del discorso generale. Che avrà la sua parte imprevista, ovviamente. Infatti ogni «inchiesta» televisiva o giornalistica parte sì da finalità che devono essere ben chiare in colui che le compie, ma bisogna che lasci tuttavia alla sincerità, alla schiettezza, alla umanità infine delle persone incontrate un notevole margine e tutto l'incanto che dall'imprevisto si sprigiona sempre.
Ecco qualche indicazione per le prime puntate: potremmo andare, per esempio, in una scuola elementare, magari il primo giorno di scuola. [...] e da questo esordio allegro e insieme patetico, si può andare in una scuola per analfabeti, di gente adulta, anche vecchi, e là conoscere la storia di qualcuno di questi, e saranno sempre storie avvincenti: come mai solo a questa età possono studiare, e le emozioni che provano, e quali libri essi vorrebbero leggere per primi; e poi andare dai ciechi, e niente come la lettura fatta dai ciechi con le loro sensibili mani dà il senso del bisogno della lettura come contatto col mondo, come moto verso la luce; e parlare anche con questi ciechi, entrare un po' nella loro anima, nella loro ansia di sapere; e poi andare sui treni, quei treni che da tanti borghi portano lavoratori di tutte le categorie, di tutte le età, nella grande città. In quei trenini, in quei tram di periferia, c'è una ragazzina che legge, o un operaio: interrogarli, vedere chi sono e che cosa leggono, e che cosa vorrebbero leggere, e che autori conoscono della nostra letteratura. [...]
Lungo l'itinerario, le puntate, noi entreremo anche in una grande biblioteca, oserei dire nel luogo più impopolare del nostro Paese. Si pensi all'apparente uniformità della gente china sui libri, in quelle fredde silenziose sale, in contrapposto alla diversità dei loro interessi, dei loro romanzi privati. Stando una mattina intera in una biblioteca a interrogare queste donne, questi uomini, a conoscere i motivi complessi, pratici o lirici, che li hanno condotti lì, vivificheremo l'ambiente, come percorsi da un gran vento, si apriranno gli animi, quello del giovane studente, dell'illustre professore, del dilettante, o di chi in un piccolissimo libro cerca la storia di una parola, o in un libro immenso pieno di immagini cerca, facendolo balzare come da una tomba, un aneddoto o un dato su un uomo quasi sconosciuto e tuttavia mirabile; ci sarà la giovanetta e la vecchia, il povero e il ricco, e chi sfoglierà l'incunabolo e chi il libro uscito proprio il giorno prima. Si potranno intercalare questi interrogatori con delle variazioni che arricchiscono questo o quel tema e ce lo faranno analizzare anche da altre parti. Se, per esempio, un giovane è lì per preparare una tesi di laurea sopra Verga o su Pirandello, potremo inserire degli elementi informativi ed evocativi su questi autori, con la libertà di tempo e di spazio che dà il mezzo televisivo.»
(Cesare Zavattini, lettera a Alberto Mondadori, Roma 25 settembre 1958, pp. 422-426)