The daguerrotype was presented in France during the summer of 1839. Two years later, the English physicist William Henry Fox Talbot patented his process to create a negative from which multiple positive prints were produced, using paper as a support. Thus, was born the calotype, which was widely used from 1839 to 1860 and represents the first true photographic printing process in the modern sense because it made it possible to obtain multiple positive copies from a negative.
This process called "direct printing" or "direct blackening," because it took place under the action of light, had many variations and improvements and was the most widely used technique during the nineteenth century.
The name of the technique derives from the salt solution (usually sodium chloride, potassium iodide, ammonium chloride, or, in Lecchi's case, iodine bromide) that was applied to the paper, which could therefore be preserved for a long time.
The sheets of paper, at the time of use, were sensitized in a solution of silver nitrate and dried. Thus prepared, the papers were exposed to light, in direct contact with the negative in a press. A hinged back made it possible to lift a flap of the salted paper and thus control the blackening process.
Full text
In 1841 the English physicist William Henry Fox Talbot, patented the process by which, by using paper as a medium for the sensing material, it was possible to obtain from a negative image several positive copies. Calotype was born, which was widely used from 1839 to 1860 and represents the first true photographic printing process in the modern sense.
This process called "direct printing" or "direct blackening," because it took place under the action of light, had many variations and improvements and was the most popular technique during the nineteenth century.
The technique's name derives from the salt solution (usually sodium chloride, potassium iodide, ammonium chloride, or, in Lecchi's case, iodine bromide) with which the paper was treated, so that it could be preserved for a long time.
According to Marina Miraglia, “Calotype is preferred by Lecchi to daguerreotype because of the minimal weight of the materials and because of the significant advantage of being able to prepare them even months before use, and to not have to do the whole series of operations on the spot, which made the daguerreotype process much more laborious and complicated, especially for traveling photographers and those doing reportage” [1]. (Miraglia 2001).
The sheets, when needed for photography, were sensitized with a solution of silver nitrate and dried. Thus prepared, these papers were exposed to light, in direct contact with a negative in a small press. A hinged back made it possible to lift a flap of the salted paper and thus control the blackening process.
The printing time was fast if they were exposed to direct sunlight but thus achieved minimal contrast; exposing them for a longer time to diffuse light, on the other hand, a more contrasty print was obtained.
After printing, the paper was washed in water, thus removing excess silver nitrate.
The image usually had a reddish-brown color.
The use of a support consisting of a fibrous material such as paper inevitably caused diffusivity phenomena that prevented salted paper from having those characteristics of sharpness and clarity of detail obtainable instead with daguerreotype. According to Lorenzo Scaramella, this process would have therefore “be based more on balance, on the play of chiaroscuro, on the relationship between masses” [2]; that is, on elements that involved possibilities for personal aesthetic solutions. This was even more true since the calotype was a negative on paper and therefore it could be manipulated “for example, with a pencil, to reinforce the parts in shadow, to make certain details clearer, or to create effects of light. In addition, the calotype, in its original form, was developed using a brush with which the developing solution was applied. This emphasized, in an almost symbolic manner, the painterly effect of the process” [3] (Scaramella 1999).
It was probably these characteristics that led the painter-photographer Lecchi to dedicate himself to the calotype. His method is based on the use of salted paper dried with iodine bromide. This process is described by Augusto Castellani (1829-1914), a photographer and scholar of photography who, like Lecchi, was probably a member of the so-called Scuola romana di fotografia. In his manuscript, which is of an eminently technical nature (today preserved in the Archivio di Stato di Roma), Castellani gives a detailed description of the various phases of the process.
Although he did not ideologically adhere to the Roman Republic, Augusto Castellani actively participated in its defense. He distinguished himself in the battle for the defense of the Janiculum where he fought in the ranks of the artillery. After the entry of the French he was denounced for being involved, with his brother Alexander, in a riot on July 15th, 1849. He remained in prison until the 26th when his father, the famous goldsmith Fortunato Pio, thanks to supports and a considerable outlay of money managed to get him freed.
Maria Pia Critelli
[1] «La calotipia viene preferita dal Lecchi alla dagherrotipia per il peso minimo dei materiali e per il vantaggio non indifferente di poterli preparare anche alcuni mesi prima dell’uso e d’essere dispensato da tutta quella serie di operazioni in loco che appesantivano e complicavano il processo di Daguerre specie per i fotografi viaggiatori e di reportage»
[2] «basarsi più sull’equilibrio, sul gioco chiaroscurale, sui rapporti delle masse»
[3] «ad esempio a matita, per rinforzare le parti in ombra, rendere più chiari dei particolari o creare effetti di luce. Il calotipo, inoltre, nella sua forma originale, veniva sviluppato con un pennello mediante il quale si applicava la soluzione di sviluppo. Questo fatto sottolineava, quasi in maniera simbolica, l’effetto pittorico del procedimento»
«Notizie di fotografia per Augusto Castellani. Roma - 1863»
(Archivio di Stato di Roma, Castellani, b. 201 fasc. 16)
Capitolo ottavo. Nuovi metodi dettagliati (corretto in: particolareggiati) di Blanquart
c. 193 r.
(IV)
Preparazione delle negative al bromuro di jodio.
Tutti i liquori detti acceleratori impiegati nella fotografia metallica, aventi per base il jodio in combinazione col cloro o col bromo, possono servire alla preparazione di una carta fotogenica: almeno tutte quelle che potremmo saggiare (aggiunta in margine: e son molte) ci dettero immagini, che furon tanto più perfette quanto il liquore più s’avvicinava al bromuro di jodio proposto da De-Valicourt, di cui non sono che modifiche (aggiunta: altro che modificazioni).
La preparazione di quelle carte non potrebbe ricevere usuale applicazione, in pria perché non (c. 193 v.) danno un risultato superiore a quello ottenuto per la preparazione allo jodiuro di potassio, e perché è più incommoda per l’odore che sviluppa nel corso delle manipolazioni, e perché infine le carte impregne di cloruro, o di bromuro di jodio han bisogno esser impiegate immediatamente dopo la loro preparazione: dopo un giorno, spesso anco un’ora gli elementi chimici possono essere volatizzati, e le carte aver perduto tutte le lor proprietà fotogeniche. V’ha però caso in cui la preparazione al bromuro di jodio può divenir preziosa, e render veri servizi. Questo accade quando vogliasi operar sulla carta asciutta come in seguito vedremo.
Per operar sulle carte umide procedesi nel seguente modo: In una piccola caraffa smerigliata in cui si sarà versata alquanta acqua distillata, lasciamo cadere goccie di bromo fino alla saturazione con eccesso, quindi si aggiungerà jodio grano a grano fino a saturazione, dopo che di nuovo si verserà una goccia o due di bromo per saturanza di questo. In una catina destinata alla preparazione della carta, si verserà acqua distillata e bromuro di jodio in dose bastante a dar al liquido una tinta giallo–arancio. Immergesi in questo liquore la carta a prepararsi; allorché è tutta bagnata, asciugasi fra due fogli di carta suga, e tienesi chiusa in un porta–foglio, fino all’istante di passarlo all’aceto–nitrato.
c. 194 r.
V
Formazione della negativa sulle carte bagnate
Le carte che abbiamo indicato non acquistano la proprietà di formare un’immagine alla cammera oscura che per una seconda preparazione che cambia lo joduro di potassio di cui son imbevute in joduro d’argento.
Qualunque sia il processo impiegato cambiasi lo joduro di potassio in quel d’argento nel modo seguente: si fa una soluzione composta di
1 parte in peso di nitrato d’argento;
8 parti di acqua distillata
Allorché il dissolvimento è completo vi si aggiungono
2 parti d’acido acetico cristallizzabile
Questa soluzione che quindi chiameremo pel nome aceto–nitrato–d’argento, viene raccolta in una caraffa smerigliata, in vetro colorato, od in vetro ordinario coperto d’una carta nera, onde garantirla dall’azione della luce.
L’aceto–nitrato–argenteo conservasi indefinitamente: se, col tempo, perdesse sensibilità, per rendergliela basta l’addizione d’alquanto acido acetico […]
c. 196 r.
Dicemmo che bisognava deporre sull’aceto–nitrato solo una superfice della carta. Nella preparazione allo joduro, al siero ed al bromuro di jodio si sceglierà la parte della carta più vellutata. Nelle carte di commercio, qualunque siane la bellezza della qualità, sempre v’ha una superficie migliore dell’altra […]
c. 205 v.
Ritrando una negativa dal bagno sia di bromuro, di cloruro, d’iposolfito, si dovrà lavare all’acqua corrente, quindi porla in un gran vaso ricolmo d’acqua pura, che rinnovasi (corretto in: si rinnova), molte volte; onde farne ben sortir (corretto in: per farne uscire) i sali che la carta potrebbe contenere; le prove si possono lasciare nel bagno 24 ore.
La fissazione della prova è allora completa nelle sue parti più essenziali: non resta che ad asciugarle: ciò si eseguisce ponendola fra molti fogli di carta suga che si rinnova fino a che non resti più inumidita dalla prova.
c. 208 r.
(III)
Carte secche al bromuro di jodio
La preparazione delle carte al bromuro di jodio fu già da noi descritta.
Passate all’aceto–nitrato ed asciugate in seguito nelle certe sughe, come ora dicemmo per le carte al siero, esse possono dare una prova, in istato secco, se l’esposizione accade nella giornata della loro preparazione.
Si ottiene un miglior risultato procedendo nel modo seguente:
si versa in una catina una soluzione di
1 parte nitrato d’argento
30 parti acqua distillata.
Si depone la carta sulla superficie del liquido. Convien guardarsi di non lasciare bolle d’aria fra la massa del liquido e la carta: lasciasi la carta un minuto sopra il bagno, quindi ritirasi e si fa sgocciare sospendendola per uno degli angoli; si depone in seguito sopra una superficie impermeabile ben netta, (aggiunta: come) un foglio di vetro, una tavola di marmo, un mobile verniciato, etc. Si lascia (c. 208 v.) asciugare lentamente, evitando che il liquido non si riunisca in masse separate, qualcosa produrrebbe macchie sulla prova. Se si incontrasse imbarazzo ad operare in tal modo, si potrà seccare la carta fra molti fogli di carta suga.
In un’altro vaso ove si sarà versata una soluzione di
25 parti joduro di potassio,
1 parte bromuro di potassio,
560 acqua distillata,
immergesi interamente la carta per un minuto e mezzo, o due minuti se la carta è molto erta, lasciando al di sopra il lato nitratato: si ritira da questo bagno, e prendendola per due angoli, si passa senza lasciarlo, in un vaso più grande ripieno d’acqua distillata onde lavarla e toglierle qualunque deposito di sale che potrebbe, senza ciò, restare alla superficie, quindi, sopra un cordone in filo bianco, teso orizzontalmente, si attacca con spille per uno o due dei suoi angoli, e si lascia sgocciare e seccare completamente. Si racchiude in seguito in una scatola di cartone, ove si conserva al coperto dalla luce (c. 209 r.) e senza comprimerla. Se preservasi questa carta dall’umidità è di un’uso eccellente (aggiunta: anche in) molti anni dopo la sua preparazione. Se si formassero macchie allorché si passa la carta al bagno di joduro, sarà prudente mettere i fogli macchiati a parte, perché le macchie si comunicherebbero ai fogli che le sarebbero a contatto.
Allorché si voglino disporre le carte per operare a secco, si passano al bagno di bromuro di jodio già descritto: allorché la carta è asciutta si forma una miscela a parti eguali d’aceto–nitrato d’argento e di una soluzione saturata d’acido gallico. Si fa con bombace di cottone un piumacciolo dolcissimo che rinnovasi a ciascun’operazione; si abbevera leggermente di questa nuova soluzione, e si passa dolcemente sulla superficie della carta. Per ottenere buoni risultati non conviene dare alla carta che la quantità di gallo–nitrato di argento che è assolutamente necessaria per farla passare dalla tinta violacea, che aveva in pria, al bianco puro, ch’esso prende otto l’influenza della nuova preparazione.
c. 209 v.
Indipendentemente da questa preparazione è ancor necessario asciugar subito la carta così bianchita fra vari fogli di carta suga; si passa infine sopra il letto di carta–fodera, egualmente secca fra i due cristalli dell’astuccio della cammera ottica.
La carta così preparata si conserva come quella al siero. Durante l’inverno, la carta così preparata nella giornata è buona fino all’indomani (corretto: al giorno dopo).
Questi tre generi di paste (corretto: carte), che si possono impiegare a secco, non sono egualmente adatte ad ogni soggetto: ottengonsi neri possenti con le carte al siero; una grande dolcezza, molto vellutato, con quelle all’albumina; un’effetto più uniforme, meno possente, con quelli al bromuro di jodio.
(IV)
Sviluppo dell’immagine sulle carte asciutte
La via da seguire per quest’operazione differisce essenzialmente da quella indicata per le carte bagnate. Mentre che le carte umide nel rovescio son preservate da ogni specie di macchie (c. 210 r.) per l’immersione delle prove nell’acido gallico in soluzione, le carte secche hanno il lor rovescio profondamente macchiato per lo stesso acido.
Conviene dunque evitare con la più grande cura che il rovescio della carta non sia bagnata (corretto: inzuppata) dal bagno d’acido gallico. Nulla è più di questo facile (corretto: facile questo): basta versare alquanto acido gallico sciolto nell’acqua sopra un cristallo ben basato che sbordi (corretto: emerga) dal tripede sopra cui riposa, e che sia minore in altezza ed in larghezza un mezzo–centimetro della carta impressa che devesi porre sulla sua superficie.
Sollevando la carta e guardandola di quando in quando per trasparenza alla luce di una bugia (corretto: candela), vedesi sviluppare l’immagine e si toglie all’azione dell’acido gallico allorché ha acquistato tutto il vigore e la nettezza voluta.
Allor si procede nello stesso metodo quando le carte siano al siero od all’albumina; per quelle al bromuro di jodio, si fa sortire (corretto: comparire) la prova, stropicciando la carta con la miscella d’aceto–nitrato, e d’acido gallico, come quando si deve esporre alla cammera ottica. Assolutamente è la stessa (c. 210 v.) operazione replicata una seconda volta.
Ben sarà (corretto in: sarà ottimo) fare la miscella d’aceto–nitrato e d’acido gallico all’istante di servirsene, mentre questa preparazione colorasi dopo alcuni minuti dando allora un risultato difettoso.
L’addizione del nitrato d’argento alla soluzione d’acido gallico non è utile, impiegando le carte al bromuro di jodio che per ottenere un effetto più energico, perché prolungando la durata dell’esposizione basta l’acido gallico perfettamente.
Allorché l’acido gallico ha prodotto tutta la sua azione, e che la prova ha acquistata tutta la forza desiderabile, lavasi in molt’acqua, e fissasi sia col bromuro di potassio o l’iposolfito, come fu detto pratticarsi per le prove per la via umida.
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[…]
Capo secondo
Ristretto dei più importanti metodi
[…]
c. 329 r.
19° = Lecchi = Fin dal 1844 quest’Italiano presentava all’Accademia delle Scienze di Parigi un suo metodo fotografico che impiega per le negative le carte asciutte al bromuro di jodio. Le disgrazie che quindi il colpirono gl’inibivano svolgere maggiormente il suo metodo che non è privo di pregio in certi risultati.