Testimonianze

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Abbiamo raccolto qui alcuni immagini legate ai ricordi sul cibo in trincea pubblicati in memorie, diari e epistolari dei soldati. È ovviamente da tenere presente il regime di censura che vigeva durante la guerra: i soldati erano soggetti a controlli della posta e dunque non era certamente possibile per loro condividere con i propri familiari la reale situazione al fronte. Più attendibili possono essere le memorie scritte a posteriori dove emerge soprattutto una critica alla qualità del cibo più che alla quantità.
Come scrive il capitano Leo Pollini nelle sue memorie Le veglie del Carso : “L'alcool mi riscalda e mi rianima; mi toglie un poco il senso dell'umido e del freddo. Poi arriva la mensa: le mie illusioni arrivano a sognare un'ala di pollo, una fetta di panettone, dei dolci, un bicchiere di vino. Mi consegnano mezza pagnotta tagliata a metà e imbottita con una costoletta fredda e tigliosa. In verità rimango un po' male, ma poi sorrido e addento voracemente quel pasto, reso gradito dalla fame. Fosse tutto qui il male!
Molti soldati si lamentano più della sete che della fame. Scrive sempre Pollini : “c'è una pena, in tutta questa gioia: da due giorni non si beve. La sete, nessun spasimo di ferita, nessuna angoscia di dolore può uguagliarne il tormento. […] La fame è nulla al confronto.” Anche il capitano Romolo Conti scrive : “Non si mangia che scatolette di carne, l'acqua è sporca e poca.”

Entusiasta è invece il giovanissimo soldato Giacomo Morpurgo che scrive alla madre: "Quanto al mangiare, si mangia bene e abbondantemente: e ce né bisogno, perché quest'aria fresca e buona fa venire un appetito del diavolo. Passano anche il vino, e ogni giorno ci distribuiscono cinque sigarette a testa, e la mattina il caffè, ovverosia un liquido che quassù può passare benissimo per caffè, e si gusta come tale. Insomma i disagi, almeno per ora, non mi paiono gravi né insopportabili." Morirà qualche mese dopo, il 6 ottobre 1916.