Palestrina, Giovanni Pierluigi
print this page- Realizzato nel
- sec. XVI-XVII
Ritratto
Scheda
olio su tela
cm 74x61,5
inv. 290042
Sullo spartito: IOANNES PETRVS ALOYSIVS PRÆNESTINVS / MVSICÆ PRINCEPS
Il ritratto del Palestrina, autore riscoperto dal Baini, è interessante perché, pur molto simile ad analogo ritratto segnalato dal Cascioli nel 1924, rimane sconosciuto nell’iconografia palestriniana fino a tempi recenti (cfr. O. Mischiati, Minima praenestina: un ritratto di Palestrina nella Biblioteca Casanatense di Roma, in Atti del II Convegno Internazionale di Studi Palestriniani, 1991, p. 611; Iconografia palestriniana, in antiporta). L’opera è databile per impostazione e tecnica al secolo XVII, ad eslusione dei particolari delle mani e del foglio di musica (su cui sono leggibili le prime battute della Missa papae Marcelli) riconducibili ad epoca barocca.
Vita e opere
(Palestrina 1525 - Roma 1594). Massimo musicista italiano del Cinquecento ed esponente di punta della scuola polifonica romana rinascimentale, P. visse per tutta la vita a Roma, alla corte dei papi, rivestendo l'incarico di maestro di cappella presso le principali basiliche patriarcali per oltre quarant'anni. La sua opera fu principalmente legata alla produzione di messe e di musica liturgica per le celebrazioni pontificali.
Nacque da Sante di Pierluigi, e questo nome di Pierluigi, patronimico presso Sante, divenne suo cognome. Iniziò la sua educazione musicale in Roma, quale puer cantus a S. Maria Maggiore, sotto la guida di R. Mallapert (1537 circa), completandola, sempre nella stessa cappella, probabilmente con i successivi maestri R. de Févin e F. Lebel. Nel 1544 ottenne il posto di organista e maestro di cori alla cattedrale di Palestrina e qui, nel 1547, sposò la conterranea Lucrezia Gori. Nel 1551 fu chiamato da Giulio III (già vescovo di Palestrina e suo estimatore) alla direzione della cappella di S. Pietro. Riconoscente, P. dedicò al pontefice la sua prima pubblicazione: il primo libro delle messe (4 messe a 4 voci e una a 5, 1554). Queste messe, nella prima e nell'ultima delle quali egli mostra la sua profonda perizia nel contrappunto di scuola fiamminga, collocarono P., non ancora trentenne, tra i primissimi e più esperti compositori dell'epoca. Il volume fruttò all'autore (1555) il posto di cantore pontificio; P. lasciò allora la direzione della cappella vaticana a G. Animuccia, ma nello stesso 1555 il nuovo papa Paolo IV escluse lui e altri cantori da quella pontificia, poiché ammogliati, concedendo loro una pensione. Nel 1555 uscì poi la seconda pubblicazione di P.: il primo libro di madrigali a 4 voci, contenente 23 madrigali (5 su testo di Petrarca), di stile naturalmente più leggero di quello delle messe: il canto vi scorre gaio e superficialmente espressivo. Nel settembre dello stesso anno P. diventò maestro di cappella al Laterano e vi restò fino al 1560; fino a quando, cioè, abbandonò il posto per la scarsezza degli stipendi. Nel 1561 P. assunse la direzione della cappella liberiana (S. Maria Maggiore).
Tra il 1561 e il maggio 1564 preparò e diede alle stampe una prima raccolta di mottetti a 4 voci (36) in cui si nota di già un cosciente avviamento verso uno stile più puro e più trasparente, più consono alle esigenze in quel tempo insorgenti nella Chiesa romana riguardo alla musica sacra. Verso il 1565 una commissione di cardinali iniziò l'applicazione delle riforme tridentine alla musica praticata nelle cappelle romane. Si trattava specialmente della messa e del mottetto in polifonia, ove il testo sacro sembrava necessariamente confondersi nel complicato intreccio delle parti. P., presentando a Pio IV tre messe di sua composizione, tra le quali una scritta - nello stesso intento - già al tempo di papa Marcello II e a lui dedicata, riuscì a convincere il pontefice che il significato delle parole sacre poteva risaltare chiaro ed evidente pur nello stile contrappuntistico e che quel canto così puro e commovente poteva giovare grandemente allo stesso culto chiesastico. P. si poneva così nel miglior modo a capo della riforma voluta da Pio IV e dai suoi ispiratori. Il compositore cominciava intanto a raccogliere i meritati frutti del suo lavoro: nel 1565 passava da S. Maria Maggiore al Magistero del Seminario romano. Nel 1567 riacquistava l'ambito posto di maestro dei concerti del card. Ippolito d'Este iunior e pubblicava il secondo libro di messe (4 a 4 voci, 2 a 5 e una, la Missa Papae Marcelli, a 6), composizioni ove la più ingegnosa elaborazione polifonica è ravvivata dalla genialità dell'architettura che, tra l'altro, si rivela nell'opportuno avvicendarsi dell'omoritmia con la polifonia e nell'uso dei più vari coloriti vocali. L'opera, forse in ricordo dell'attività tridentina dei vescovi spagnoli, è dedicata a Filippo II di Spagna, monarca che in quel momento non si trovava in armonia col Vaticano. P. mirava evidentemente a lasciare Roma, ove il pontificato di Pio V era poco favorevole allo sviluppo della musica, e voleva passare alla corte di Spagna, mentre contemporaneamente (1567-68) trattava con quella di Vienna. Trattative, queste, che non ottennero risultato positivo, date le alte pretese del maestro (35 scudi d'oro al mese). Nello stesso 1568 cominciavano anche le sue relazioni con Guglielmo Gonzaga duca di Mantova, durate per circa 20 anni e cioè fino alla morte del principe. Questi si rivolgeva spesso a P. per chiedere un parere sui propri lavori musicali, informazioni su cantori e sonatori o per commissionargli messe e mottetti. La fama di P. si diffondeva intanto sempre più e acquistava nuova luce con la pubblicazione del primo libro dei mottetti a 5, 6, 7 voci (1569) contenente 33 mottetti, mirabili per la novità e la freschezza delle frasi, per la continua varietà ritmica, per l'alternanza dei procedimenti omofoni ai polifonici, ove l'omofonia dà ottime concatenazioni di accordi. L'altra pubblicazione del tempo (1570) fu il terzo libro di messe, anch'esso dedicato al re di Spagna e contenente 8 messe a 4, 5 e 6 voci: alcune messe debbono però risalire ai tempi pretridentini e questa scelta fa pensare che P. le avesse pubblicate per dimostrare la sua profonda perizia contrappuntistica a coloro i quali imputarono forse a lui di avere più fantasia che scienza...
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Perché si trova in Casanatense
Palestrina fu l'oggetto dello studio di Giuseppe Baini. Il ritratto pervenne alla Casanatense nel 1844 tramite il lascito testamentario di Giuseppe Baini, maestro della Cappella Pontificia, che, insieme con il quadro, legò alla biblioteca la sua ricca raccolta di opere di musica teorica e pratica.