Formiggini alla Grande Guerra

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Angelo Fortunato Formiggini non era un guerrafondaio, ma allo scoppio del primo conflitto mondiale si rivela un interventista convinto. La sua adesione alla Grande Guerra è veloce quanto la passeggiata dalla sua casa genovese in via Cesare Cabella 21 alla piazza Manin: il 24 giugno 1915 infatti, uscito con la moglie Emilia Santamaria per una gita in campagna, vede in questa piazza una locandina con la notizia dell'ingresso dell'Italia nel conflitto e accoglie senza indugio il proclama di mobilitazione. L'annuncio della sua partenza come volontario è stato affidato ad un foglietto, lasciato sullo scrittoio dell'ufficio per i collaboratori: "Parto! Non posso dirvi nulla. Fate quello che potete!" Il giorno stesso si presenta al distretto di Genova, da cui parte nel giro di poche ore, per essere a Cremona in serata: qui viene destinato a diventare l'aiutante maggiore del 64° Battaglione di Marcia, dal momento che si trovava ad essere il tenente più anziano. Il 64° della Milizia Territoriale fu stanziato prima a Treviso Bresciano e poi a Capovalle, nella Val Sabbia e nel periodo di guerra, Formiggini diventa capitano.

La moglie Emilia condivide col marito la partecipazione alla guerra: inizialmente intrattiene contatti epistolari quotidiani con Formiggini, che le detta le disposizioni editoriali, ma soprattutto cerca di seguire le operazioni militari dal vivo, ottenendo la tessera di corrispondente del giornale La Provincia di Brescia, anche se viene costretta da numerose contingenze ad abbandonare molto presto l'incarico. Per un breve periodo collabora con l'Ufficio informazioni per le famiglie dei militari del sottocomitato di Brescia, ma riceve l'ennesimo rifiuto quando prova a ottenere il permesso di insegnare ai soldati negli ospedali o ai bambini nelle scuole in difficoltà del Trentino occidentale. Di fatto riesce ad avvicinarsi al fronte solo grazie ad un corso da infermiera da campo seguito a Modena: in questo modo ottiene l'assegnazione prima all'Ospedale territoriale di Borca e poi a quello di Tai di Cadore. La felice penna di Emilia racconterà questa esperienza nel libro La mia guerra, pubblicato nel 1919, che rimane tutt'ora una testimonianza molto importante. 

Nel frattempo Formiggini ottiene un congedo per malattia nel dicembre 1915, che verrà prorogato fino al 1917: nel 1916, sposta la sede della casa editrice da Genova (dove un bombardamento aveva compromesso la casa privata, risparmiando invece i magazzini) a Roma, città natale della moglie, approfittando di un rientro di questa dal Cadore. 

I due coniugi si prodigano durante la guerra per la diffusione della loro amata cultura: Formiggini promette l'invio di casse di libri ai commilitoni rimasti al fronte, mentre la moglie si impegna nel riodino della biblioteca dell'ospedale, rifornendola di volumi più adatti a migliorare l'umore dei ricoverati.

Una volta ricongiunti, i due si dedicano ad alcuni progetti editoriali, portati avanti nelle ristrettezze e nelle difficoltà del 1916: la Rivista di Filosofia, la Biblioteca di Filosofia e Pedagogia e gli Opuscoli di Filosofia.

Terminato il congedo e dopo aver dovuto temporeggiare a Cremona, Formiggini presta servizio presso il Ministero della Guerra, destinato all'Ufficio Disciplina Ufficiali del Regio Esercito, sotto al guida di Francesco Losini.

Questo appassionante racconto di guerra non è privo di toni cupi: il sorriso e l'umorismo di Formiggini sono messi alla prova non solo dalle difficoltà della guerra, ma anche dallo scetticismo, se non addirittura dalla freddezza, con cui vengono accolti alcuni suoi slanci; inoltre l'esperienza all'Ufficio Disciplina assume, di lì a pochi anni, un retrogusto amaro, ripensato nella prospettiva delle leggi antisemitiche che lo investiranno nel periodo del Fascismo.

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