- Fonte:
- Benedetto Croce - Guido Mazzoni, Carteggio 1893-1942, a cura di Michele Monserrati, Firenze, Società editrice fiorentina, 2007.
«Mio carissimo Fortunato [Pintor], mi son rifugiato quaggiù, a pian terreno, per queste due ragioni: che in Biblioteca [del Senato] c’era, lì vicino a me, Benedetto Croce; e che egli aveva messo in moto il ventilatore. Ora, pur troppo, in Italia, già abbastanza non si può nominare la critica, e tanto meno parlarne, senza rammentare La Critica e Benedetto Croce, e parlare di lei e di lui invece che della critica col c minuscolo. E quella macchinetta stridente e lanciante a sbuffi cadenzati dei getti d’aria mi sviava e raffreddava le idee. Sono in salvo. Posso scrivere. E se, a pienissimo Suo agio, Ella vorrà leggere, lo farà; se no, no; a me basta, egoisticamente, illudermi d’un uditore come Lei, e godermi questa aria ferma e, qui nella saletta, avendo accanto il [Luigi] Dorigo, di faccia il [Di] Camporeale [Paolo], essere sicuro che i miei pensieri sulla critica non saranno fraintesi, torturati, polemizzati! Che se Lei obiettasse con Giovenale: – Semper ego auditor tantum? – (come lo tradurrà mai quel nostro giovenalesco di [Guido] Carpegna?), Le risponderei: – Animo! Mi risponda, e imparerò qualcosa in più; perché Ella, senza voler parere, è un solenne obiettatore e serio suggeritore d’idee.»
(Guido Mazzoni, lettera a Fortunato Pintor, Roma 29 giugno 1917, p. XXXI).