Levi-Montalcini (1987)

Fonte:
Rita Levi Montalcini, Elogio dell'imperfezione, Milano, Garzanti, 1987.

«Altre amicizie si stabilirono tra me e i compagni di studio negli anni universitari. Nacquero nelle stanze dell'Istituto anatomico dov'eravamo interni o nella grande biblioteca, vanto dell'Istituto e soprattutto del professore [Giuseppe Levi], che vi passava lunghe ore. Ne era consentito l'ingresso soltanto agli assistenti e agli interni, ma neppure a loro era resa comoda e facile la consultazione dei libri. I periodici, che attualmente affluiscono a valanghe nelle biblioteche scientifiche, allora erano non più di una decina. Quelli degli anni precedenti erano rilegati in volumi, e le opere di autori dalla metà del secolo scorso occupavano i giganteschi scaffali in legno massiccio che arrivavano sino al soffitto ed erano protetti dalla polvere da grandi sportelli a vetro.
Per consultare i libri, scritti la maggior parte in tedesco (la lingua più usata dai biologi fino agli anni Venti), era necessario arrampicarsi su una traballante scaletta a pioli. Non era permesso prendere in prestito i volumi; dovevamo quindi consultarli sui grandi tavoli disposti nel mezzo delle stanze e poi riporli immediatamente negli scaffali. Nelle fredde giornate invernali la temperatura della biblioteca era tenuta sui dodici gradi per limitare la durata delle consultazioni "dei fanatici della scienza", come Levi definiva gli studenti più zelanti e diligenti, e soprattutto per scoraggiare gli "sfaticati" o "impiastri", che riteneva non avessero alcuna attitudine e interesse scientifico e sfruttassero la biblioteca come stanza di ritrovo e di pettegolezzi. Guai a chi lasciava il soprabito o altri oggetti personali sui tavoli. Ricordo una terribile sfuriata di Levi che, entrando all'improvviso, s'imbatté in uno sciagurato che aveva usato uno dei tavoli a questo scopo. Con voce tonante il professore gli ricordò che la biblioteca non era una taverna. Cappello, cappotto e borsa, con il loro disgraziato possessore, presero precipitosamente la fuga dal luogo sacro che avevano profanato, seguiti da un'occhiata di disprezzo del maestro.
Mi venne in mente questo episodio quando entrai per la prima volta, molti anni dopo, nella library del Dipartimento di biologia della Washington University. Era piena di studenti in maniche di camicia. Molti, sdraiati sulle poltrone, per lo più con i piedi scalzi sui tavolini, leggevano le riviste masticando chewing-gum o, stanchi della lettura, erano immersi in profondi sonni con la testa appoggiata sui fascicoli o sui quaderni di appunti.
Nelle stanze del laboratorio e nella biblioteca avvennero gli incontri con [Salvatore] Luria, [Renato] Dulbecco, [Cornelio] Fazio e [Rodolfo] Amprino.»
(Rita Levi Montalcini, Elogio dell'imperfezione, p. 73-74).

«[Fernando J.] Si stupì quando Viktor [Hamburger] gli chiese se voleva venire con noi per il lunch nella vicina cafeteria del campus. Rifiutò. «Mi spiace,» disse «ma non faccio mai il lunch, preferisco passare quel tempo in biblioteca.» Viktor sorrise di quell'ardore giovanile: aveva ventinove anni e quindi tutto il tempo davanti a sé per studiare e nutrirsi come tutti gli altri mortali, ma Nando fu irremovibile. Lo accompagnammo alla biblioteca, oggetto per lui, com'era stata per me, di ammirazione, poiché entrambi venivamo da paesi nei quali dominavano gli austeri scaffali pieni di libri polverosi dell'Ottocento, mentre le pubblicazioni recenti erano pochissime. Si gettò sui periodici, per poi riprendere il colloquio al nostro ritorno dalla cafeteria.»
(ivi, p. 181. Il ricordo si riferisce al 1951, nella Washington University in St. Louis, dove Rita Levi-Montalcini lavorava dal 1947).

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