Alvaro (1956)

Fonte:
Corrado Alvaro, Opere, [1]: Romanzi e racconti, a cura e con introduzione di Geno Pampaloni, apparati di Geno Pampaloni e Pietro De Marchi, Milano, Bompiani, 1990.

«È mio proposito raccontare quello che accadde nella città di Turio nel 1914. Costretto a vivere nella biblioteca comunale di questa città, vado occupando il mio tempo in un lavoro che possa tornare utile a quelli che vorranno rintracciare un momento della storia dei turiesi, o turioti come si suol dire. [...] Spero che la pazienza per scrivere di queste cose mi assista fino in fondo, e che non mi scoraggisca il fatto di vedermi attorno tanti libri negli scaffali, in cui è scritto tutto e in cui tutte le combinazioni della fantasia umana sono esaurite. Ma forse mi salverà dal ridicolo, agli occhi di chi leggerà questo manoscritto, scrivere di storia locale, e forse appunto per ciò il mio nome potrà essere ricordato meglio di quello di persone che si affaticano a mettere insieme fantasie sulla vita. Il mio nome è Vitaliano Stabili, direttore della biblioteca comunale di Turio. [...] L'idea di mettere insieme queste pagine m'è venuta da una visita che ho avuto da Rinaldo Diacono nel giugno di quest'anno 1948. Così ho riveduto Diacono a quasi cinquant'anni da quando lo conobbi ragazzo. Egli mi disse: "Giacché non siamo riusciti nessuno a raccontare le vicende di quell'anno a Turio, perché non lo fate voi? Nella vostra biblioteca vi sono passati sotto gli occhi tutti gli uomini e i ragazzi di quel tempo, e d'altra parte voi avete risolto da allora il problema di non vivere del tutto rinchiuso. Perciò molte cose avete veduto e saputo. Se vi mancasse qualche informazione, scrivetemi e io vi dirò quello che posso ancora ricordare". Quanto alla soluzione del problema di non vivere rinchiuso, come egli ha detto, devo dire che io occupo la mia stanza a pianterreno, le cui pareti sono scaffali di libri, a cui si accede per un corridoio formato ugualmente di scaffali di libri, e con una porta a vetri che dà sulla strada. Chi passa mi vede al tavolino, e io dal mio posto vedo tutto quanto accade fuori. La strada è centrale.»
(Corrado Alvaro, Mastrangelina, in Opere, [1], p. 911-1149: 915-916. Il romanzo fu pubblicato dopo la morte dell'autore, a cura di Arnaldo Frateili, nel 1960. Il personaggio di Vitaliano Stabili è ispirato a Filippo De Nobili, direttore della Biblioteca comunale di Catanzaro dal 1908 al 1958, e la descrizione dei locali corrisponde alla sede di allora. Alvaro, che in parte si rispecchia in Rinaldo Diacono, frequentò il Liceo a Catanzaro fino al richiamo alle armi per la Grande guerra e in quel periodo utilizzava abitualmente la Biblioteca comunale).

«Devo tacere il nome di questo antiquario, per evidenti ragioni, e lo chiamerò Tecca. Tecca si trovò una sera ad alloggiare in una locanda di Metaponto, e fece conoscenza con uno straniero, un tedesco, il quale veniva da un viaggio a piedi nell'Italia meridionale. Che cosa facessero questi viaggiatori, che penetravano nei paesi più remoti della Calabria e della Sicilia, non si sa; dicevano di compiere studi di geologia o di parlate dialettali, e all'apparenza era vero perché molti venivano a visitarmi nella biblioteca comunale per chiedere documenti e libri di storia della regione, e dopo qualche tempo mi mandavano dai loro paesi le pubblicazioni in cui avevano dato conto delle loro ricerche.»
(ivi, p. 920).

«Mi accorgo che vado mettendo insieme rimpianti come della mia stessa vita, in una storia che non mi appartiene se non come testimonianza. Mi capiterà, credo, di farlo ancora, giacché dal mio posto dietro una porta a vetri che dà sulla strada, mi sembra di avere vissuto molte vite.»
(ivi, p. 1011).

«Spina gli chiese: "Non vieni in convitto?"
"No, vado in biblioteca."
"Mi vuoi con te?"
"Oggi non vado a mangiare. Ne ho abbastanza [...].
L'ora era già tarda, per la strada c'era poca gente che andava a casa, lieta del pasto che l'aspettava. Era l'ora in cui il lastricato della città, tutto di pietre larghe e grige, si scorgeva arido e deserto. Nella biblioteca non c'era che un custode sonnolento. Il bibliotecario dalla barba fluente e rossastra come quella d'un apostolo, non c'era. Diacono risentì quell'odore di folla, di libri, caldo e fermentante, l'odore delle vernici delle impalcature, il vecchio odore umano dei banchi, lucidati dalle mani che vi si erano posate. Egli andò dritto a uno scaffale, e ne tolse un libro. Lo aprì, i caratteri grandi, capricciosi, con gli accenti forti e le lettere smussate, svolgevano un dialogo fitto e serrato. I grandi margini della carta colore avorio formavano un cielo in cui sì moltiplicava la risonanza di quelle parole, la carta odorava di mare, col tanfo dì pesce secco di un porto. Il fruscio del foglio che si voltava, risuonava nella sala come qualcuno che cerchi l'uscita strisciando con le mani su una porta.
"Questo è un libro proibito", disse Diacono mentre Spina aguzzava gli occhi su quelle pagine. "Il bibliotecario storce il naso se vede uno dì noi che lo legge."
Leggevano tutti e due toccandosi lievemente con la spalla. Le lunghe file di versi fremevano di una passione che irrompeva fragorosa, ad alta voce. Essi erano assorbiti in un altro mondo, con gli occhi che divenivano freddi sotto le palpebre che si abbassavano dì quando in quando.
"Anche nella mia vita c'è un dramma", disse sottovoce Diacono. [...] Le parole di quel libro gli rivelarono il senso di quanto era accaduto, e ne provò un improvviso dolore; nello stesso tempo ebbe il senso della sua potenza. [...] Egli diceva di aver veduto il poeta che aveva scritto quelle pagine, e nella sua mente, senza che neppure formulasse il pensiero, balenò l'idea di essere stato lui a suggerire alcune di quelle parole al poeta. Il quale era calvo, con una barbetta caprina, calvo come qualcosa di lubrico e di indecente. [...]
La metà delle parole che essi leggevano non le capivano, ma le riempivano di significato, un significato vago, pieno come il brusio di un alveare, o come il vento tra i boschi. [...] "Andiamo, vieni con me", disse Diacono. Spina lo seguì trotterellando, traversarono il ponte, uscirono dall'abitato. Forse nei campi avrebbero trovato quelle apparizioni di cui parlava il poeta.»
(ivi, p. 1072-1075. Il libro è probabilmente da identificare con un'opera di D'Annunzio).

Relazioni