- Fonte:
- Umberto Saba, Prose, a cura di Linuccia Saba, prefazione di Guido Piovene, nota critica di Aldo Marcovecchio, Milano, Mondadori, 1964.
«Mia cara Linuccia, nato nel secolo del dolore (quale fu l'Ottocento), vissuto (ed anche sopravvissuto) in quello che ebbe, oltre il dolore, l'angoscia, mi è singolarmente penoso ricordare, sulle soglie della notte, il passato. Ma voglio e devo rispondere ad una tua domanda: quali cioè erano i libri che leggevo quando, a 17 anni circa, incominciai a scrivere, con la coscienza di scrivere. [...]
Dei libri che possedevo, quello che piú leggevo era il Leopardi [...]. Ma un amico della mia età mi disse che esisteva, viveva ancora, un poeta ben piú grande del Leopardi: che egli considerava del tutto sorpassato. Il poeta si chiamava G. C. [Giosue Carducci] Pregai l'amico di prestarmelo: ma non ce l'aveva nemmeno lui. Mi consigliò di leggerlo alla B. C. [Biblioteca civica di Trieste], dove ce l'avevano sicuramente.
La B. C. non era nel 1900-1901 quella che è oggi: consisteva in una sala polverosa aperta al raro pubblico, e preceduta da un'anticamera, alle pareti della quale erano appesi dei ritratti (che si assomigliavano tutti) e rappresentavano personaggi in parrucca bianca ed incipriati. Entrati nella stanza pubblica, bisognava empire una scheda, firmarla, e presentarla ad uno strano inserviente (che attendeva in piedi davanti ad una finestra, dalla quale finí poi col buttarsi giú). Era una figura terribile, quasi agghiacciante: credo che l'avesse, in modo particolare, con gli scolari, che sospettava, a ragione, di firequentare la B., e quindi di togliere lui alla silenziosa meditazione di tristi pensieri, al solo scopo di copiare le difficili versioni dal greco e dal latino. Dopo una mezz'ora circa di attesa, mi portò le opere in versi del C.»
(Umberto Saba, Della Biblioteca civica ovvero della gloria, 1957, in Prose