- Fonte:
- Lezioni di cinema e di regia, a cura di Antonio Carlo Vitti, Firenze, Società editrice fiorentina, 2013.
«Siamo autodidatti, nel senso che non abbiamo né frequentato scuole, né abbiamo avuto maestri, salvo quelli ideali. Tutto è cominciato a Pisa, dove ci eravamo trasferiti dopo che la nostra casa a San Miniato era stata distrutta dai nazifascisti. Frequentavamo il ginnasio e quel giorno marinammo la scuola. Mentre passeggiavamo in Corso Italia vedemmo della gente che usciva da un cinema. Incuriositi ci avvicinammo alla locandina per vedere di che film si trattava, e questi ci dissero: «Non entrate! È un film italiano molto noioso. Non c’è amore, non c’è storia!». Queste parole, quasi inconsciamente, ci provocarono a tal punto che ci decidemmo ad entrare. [...]
Noi abbiamo invidiato i nostri coetanei che entravano al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Per quella che è la nostra esperienza di autodidatti, ci eravamo resi conto che se volevamo intraprendere la strada del cinema dovevamo darci da fare e abbiamo fatto di tutto per imparare. Così andammo in biblioteca a Pisa e iniziammo a studiare su un testo di storia del cinema, l’unico disponibile. Seguivamo tutti i film, che allora erano quelli del neorealismo e questa fu una grande fortuna per noi, perché il nostro primo approccio con il cinema è avvenuto attraverso film che hanno fatto la storia del cinema.»
(Vittorio Taviani, intervista, in: Lezioni di cinema e di regia, a cura di Antonio Carlo Vitti, p. 221-237: 222. La vicenda è stata raccontata almeno in altre due sedi, riportate di seguito).
«Questa è stata la nostra Università perché qui, ancora ragazzi, scoprimmo la “Storia del cinema” di Pasinetti. Scoprimmo che il cinema aveva una sua storia come la letteratura, la pittura, le altre arti studiate al liceo. In quegli anni – pensate – ci davano ancora temi come “il cinema può essere arte?”. Fa sorridere la nostra ignoranza della letteratura cinematografica passata, ma erano gli anni del dopoguerra e le nuove riviste specializzate vennero dopo. "Hollywood” era l’unico rotocalco che si occupava di cinema, di attori, di gossip. Pubblicava anche recensioni dei lettori e uno di noi era tra quelli. Il volume di Pasinetti divenne il nostro vangelo cinematografico: occhi avidi scorrevano le righe che ci parlavano di Eisenstein, Ford, Renoir. La mattina entravamo in questa Università insieme agli studenti veri. Nel silenzio della biblioteca studiavamo con serietà, una serietà lieta, sentimento sconosciuto nell’indolenza dei banchi di scuola. La ricerca di sé, così viva e spesso angosciosa in un ragazzo, aveva trovato una sua strada. Trascrivemmo tutto il libro o quasi… forse in qualche nostra cantina esiste ancora il manoscritto.»
(Paolo e Vittorio Taviani, Itinerari: dalla Sapienza allo schermo, lectio magistralis tenuta l'11 marzo 2008 in occasione del conferimento della laurea specialistica honoris causa in Cinema, teatro e produzione multimediale da parte dell’Università di Pisa).
«Il cinema fu una rivelazione anche traumatica. Tutta una generazione scoprì una nuova realtà, che era molto diversa da quella dell’Ottocento. Da quel momento per noi ci fu il cinema e soltanto il cinema.
All’Università di Pisa, in biblioteca, scoprimmo l’unica Storia del cinema che esisteva allora, quella di Pasinetti. Ce la siamo studiata parola per parola.
Avete [!] trascritto quel libro un pezzo alla volta. Un lavoro da monaci amanuensi.
Era il nostro vangelo.»
(Cinema in rivolta: intervista a Paolo e Vittorio Taviani, conversazione con Fabrizio Tassi pubblicata originariamente in «MicroMega», 2012, n. 6).