- Fonte:
- Pietro l’Eremita, Storia inverosimile ma vera della Biblioteca nazionale di Roma, «Belfagor», 13, fasc. 6 (1958), pp. 735-738.
«Ma ormai la Biblioteca [nazionale di Roma], tra una chiacchiera e l'altra, tra una guerra e l'altra, era in stato di disgregazione, per l'impossibilità materiale di ospitare i libri, per il pubblico sempre più numeroso e assillante, che non trovava soddisfazione, dato il numero limitato degli impiegati, proporzionalmente sempre più scarsi e mal pagati.
La situazione della Vittorio Emanuele in questo dopoguerra era veramente pietosa. Gli impiegati, stipati in poche celle semibuie, non riuscivano ormai a tener dietro a nulla: montagne di materiale bibliografico giacevano senza schedatura e senza sistemazione. Trovare un libro recente a catalogo era un'idea comica che dava luogo a facezie, migliaia di lettori al mese si accavallavano nelle sale male illuminate e mal sorvegliate, i fattorini erano costretti a trascinare letteralmente, dalle cantine fino al terzo piano, per chilometri, i libri che arrivavano naturalmente dopo ore. Finalmente il 6 luglio 1953 la Biblioteca cominciò forse per un intervento della divina Provvidenza, a scricchiolare e a crollare. Dato che i crolli dei muri non sono previsti dal regolamento per le Biblioteche, apparve un cartello sulla porta con sopra scritto: «Chiuso per la consueta spolveratura annuale». I soliti eufemismi, che in ogni tempo hanno fatto la fortuna della nostra nazione. La spolveratura durò molti mesi, fino al 4 gennaio 1954; ci furono sopraluoghi del Genio Civile che dichiarò indispensabili lavori per più di 80 milioni, vennero sfondati pavimenti, puntellate pareti, sgomberate totalmente le scaffalature centrali in tutti i corridoi dei vari piani, furono trasferite 26 tonnellate di pubblicazioni non schedate nel sottosuolo del monumento a Vittorio Emanuele II, al Museo del Vittoriano, detto ormai «la tomba del libro ignoto».
Era veramente la fine: ma non sembrò ancora sufficiente ai nostri governanti per decidersi a costruire rapidamente la nuova sede. Le aree nel centro di Roma erano ormai salite a prezzi folli: si cominciava a parlare di zone lontane e scomodissime, si consigliava di costruire la nuova Biblioteca centrale all'EUR, a mezza strada tra Roma e Ostia, questo sempre per incoraggiare gli studi e gli studiosi, come li incoraggiava un tempo Teodorico o Alarico. Il Ministro Segni, che almeno è un professore universitario e un accademico dei Lincei, nominò una Commissione ministeriale per studiare quale poteva essere la zona di Roma più adatta per costruirvi la Biblioteca. La Commissione, dopo varie riunioni, indicò saggiamente l'intera area del Castro Pretorio, nella quale sorgevano e sorgono tuttora delle caserme. Nel frattempo la Biblioteca si riapriva al pubblico, cambiava la Direzione, si cominciò a vedere qualche muro imbiancato, un po' più di ordine e di pulizia, qualche scheda di più ai cataloghi.
Il posto riservato alle nuove pubblicazioni era però ridotto al minimo: i libri nuovi venivano spesso francescanamente sistemati sulla nuda terra, mancando le scaffalature; i carri funebri per il monumento a Vittorio Emanuele si susseguivano periodicamente rovesciando montagne di materiale inutilizzabile. Bisogna pensare che l'incremento annuo della Biblioteca Nazionale è di diecine di migliaia di volumi. I duemila lettori quotidiani erano costretti a chiedere in lettura parte delle opere un giorno per l'altro, in seguito ai dislocamenti di intere sezioni della Biblioteca in zone del palazzo sempre più scomode e distanti.
È certo comunque che la Vittorio Emanuele sarebbe rimasta per altri cinquanta anni a dormire i suoi scomodi sonni e a rivoltarsi nel suo letto, come la vecchia di Dante che suo dolore scherma, al Collegio Romano, se nel febbraio del 1958 non si fossero rotte simultaneamente quattro biffe applicate nel 1953 dal Genio Civile ad antiche crepe murarie. La rottura delle biffe dimostrò chiaramente che i muri continuavano a lesionarsi in maniera preoccupante. La Direttrice fece chiudere immediatamente la Biblioteca al pubblico, mentre il Genio Civile iniziava i sopraluoghi. Soltanto gli impiegati dovevano restare al loro posto, col pericolo di restare schiacciati e sotterrati come mastro Misciu e Rosso Malpelo nella cava di rena di una celebre novella del Verga. Apparve un cartello sulla porta con la scritta: «Per lavori in corso la Biblioteca rimane chiusa».
[...] I bibliotecari e i custodi della Vittorio Emanuele, finalmente tornati a una pace claustrale, iniziavano il riordinamento della Biblioteca, rendendosi improvvisamente conto che il loro numero era appena sufficiente a tenere in ordine gli uffici, la schedatura, insomma i servizi inerenti alla conservazione e alla sistemazione del materiale bibliografico. Le Biblioteche in Italia non prevedono quasi mai la frequenza del pubblico, e la Nazionale di Roma, nonostante l'enorme afflusso di studiosi negli ultimi anni, meno delle altre.
Nell'aprile del 1958 fu ricostituita la Commissione Ministeriale, presieduta dal Prof. Ferrabino e composta tra l'altro dai senatori Ermini e Ciasca, dai Professori Morghen, Levi Della Vida, dalla Direttrice della Biblioteca Dott. Laura De Felice, per indicare ancora una volta quale sede sembrasse più adatta per la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Dall'aprile al settembre la Commissione ha ristudiato tutte le possibili soluzioni, dalle più assurde (EUR, a 18 km. da Roma), alle più complicate (Ospizio di San Michele a Ripa sul Lungotevere, con la necessità di sfrattare centinaia di famiglie), fino a riproporre quella già adottata dalla Commissione del 1953: l'area del Castro Pretorio o del Macao. Questa area sembra veramente l'unica possibile, per la relativa vicinanza alla stazione centrale e alla Città Universitaria. Il centro storico della città è infatti ormai intoccabile e la futura biblioteca ha bisogno di molto spazio.
[...] La Biblioteca intanto è chiusa, e la decisione si fa attendere.»
(Pietro l’Eremita, Storia inverosimile ma vera della Biblioteca nazionale di Roma, «Belfagor», 13, fasc. 6 (1958), pp. 735-738. Nonostante lo pseudonimo, a firmare l’articolo fu Luigi Russo, come segnalato da una nota a piè di pagina inserita in coda allo scritto: «Queste notizie sono state raccolte diligentemente dal direttore di «Belfagor» in persona, e la noterella porta una firma generica per non invischiare i singoli informatori in polemiche superflue e nocive. La responsabilità è tutta dunque del direttore di «Belfagor». E a lui vanno indirizzate aggiunte o correzioni, o proposte, sperando che quella del nostro intimo amico Pietro l'Eremita non rimanga una vox clamantis in deserto.»)