- Fonte:
- Federigo Tozzi, Opere: romanzi, prose, novelle, saggi, a cura di Marco Marchi, introduzione di Giorgio Luti, Milano, Mondadori, 1987.
«Francesco Appesi si sentiva sempre più solo. [...]
L'Appesi è impiegato a una biblioteca di Firenze. I suoi baffi sono di un bianco che pare ancora biondo. La calvizie gli ha fatto una fronte che dalla radice del naso gli va fino al mezzo della testa; ha gli orecchi così lunghi che sono alti quanto la testa; è piuttosto magro e ha tutte le dita pelose. Quando parla, fa l'effetto che la voce gli scenda giù da dentro la fronte. [...]
Però, quando egli entra in biblioteca, gli pare che tutti i libri siano vivi e si movano da sé: basta che egli ci pensi. La biblioteca è immensa. Ci sono sale piene di scaffali, che conosce soltanto lui. Le schede riempite da lui, con quella calligrafia tutta filettata, sono state fatte proprio allora; benché siano vecchie di parecchie diecine d'anni. Se confronta le ultime con le prime, egli stesso vede come la sua calligrafia da un anno all'altro s'è cambiata; ma anche la sua calligrafia è una cosa viva, come i nomi e titoli su le costole dei libri. [...]
Ma in biblioteca lo prese una manìa nuova: a ogni libro che gli capitava di vedere, su allineato negli scaffali, aveva bisogno di conoscere a mente quel che c'era scritto. Lo voleva sapere a tutti i costi. Pigliava la scaletta, cavava il libro; e lo leggeva in fretta in fretta, qua e là, come gli capitava. E poi faceva lo stesso con un altro; e poi con un altro; senza smettere mai; finché non gli mancava il respiro e gli occhi reggevano.»
(Federigo Tozzi, Il miracolo, in Opere, p. 1145-1150. La novella fu pubblicata per la prima volta sul giornale «Il tempo» il 4 dicembre 1919).