- Fonte:
- Cecilia Scerbanenco, Il fabbricante di storie: vita di Giorgio Scerbanenco, Milano, La nave di Teseo, 2018.
«Lavorava dalle otto di mattina alle sei di sera, e dalle otto e mezzo di sera all'una leggeva. Era diventato un cliente assiduo di ogni biblioteca, soprattutto di quella del Castello sforzesco. Divorava i libri, anche quelli in apparenza più indigesti. Lo attirava particolarmente la filosofia e il primo articolo che riuscì a pubblicare consisteva di riflessioni su Schopenhauer. Ecco qualcosa che Scerbanenco ricorda sorridendo come la sua promozione a tornitore. Dopo un anno e mezzo di una esistenza simile, tra la Borletti e il Castello sforzesco, fra il tornio e i trattati di filosofia, e a volte anche di teologia, Scerbanenco finì in sanatorio.»
(Oreste Del Buono, Le 60 storie d'amore di Giorgio Scerbanenco, «Oggi», 12, n. 50 (13 dic. 1956), p. 41-42, riprodotto in Cecilia Scerbanenco, Il fabbricante di storie, p. 20).
«La sera e negli altri momenti di libertà dai precari lavori, mio padre andava a studiare nelle biblioteche della città, in particolare quella del Castello sforzesco e quella di Brera, dove si riuniva il mondo intellettuale dell'epoca, ancora vivace, imbevuto di futurismo e D'Annunzio, popolato dai primi poeti e scrittori "maledetti".»
(Cecilia Scerbanenco, Il fabbricante di storie, p. 42).
«Mio padre però aveva frequentato per anni la biblioteca di Brera, anzi, si può dire che lì abbia fatto tutti gli incontri che hanno poi segnato la sua vita, aprendogli e facilitandogli la carriera letteraria. È assai probabile che vi abbia conosciuto anche qualcuno che lavorava all'osservatorio, forse qualche studentessa o scienziata, presa a modello per l'affascinante astronoma del romanzo [Lo scandalo dell'osservatorio astronomico]. Il quartiere milanese di Brera occupò sempre un posto particolare nel cuore di mio padre, che molti anni dopo cercò di comprarvi una casa.»
(ivi, p. 105).