- Fonte:
- Roberto Calasso, Memè Scianca, Milano, Adelphi, 2021.
«Mettendo piede a Palazzo Strozzi, la prima porta sulla destra era quella del Gabinetto Vieusseux. Si entrava in una stanza vasta, con un lungo balcone, dietro il quale sedevano e si muovevano i commessi che avrebbero evaso le richieste dei soci. Li conoscevo tutti e godevo della loro benevolenza, che mi concedeva qualche privilegio nel numero dei libri che potevo prendere in prestito, essendo mio padre membro del consiglio. Il presidente era Bonsanti, che ogni tanto si vedeva uscire dal suo studio, con un'aria sommessa di alto funzionario coloniale.
La stanza adiacente era quella dei cataloghi. C'è un piacere specifico, molto intenso, legato ai cataloghi – e mi accadde di scoprirlo in quella stanza. Era un momento in cui cercavo gli scrittori americani, come d'obbligo in quegli anni, ma avevo anche sviluppato una passione per i gialli. E in quei cataloghi trovavo tutto. Con Simenon stranamente non cominciai dai Maigret, ma dai romans durs. Credo che Il testamento Donadieu sia stato uno dei primi. Cercavo anche i classici del giallo anglo-americano – Van Dine, Dickson Carr, Rex Stout, Edgar Wallace, Peter Cheyney. Più di una volta mi sono trovato davanti ai commessi insieme alla moglie del severo linguista Giacomo Devoto (mio padre, per spaventarmi minacciava di chiamarlo, come un orco, se commettevo qualche malestro), una signora di una certa età, che aveva i miei stessi gusti: voleva solo i puri gialli. Uscivamo talvolta con pile di libri degli stessi autori.
Mi affascinava, e ancor più mi piace oggi, come venivano rilegati i libri del Vieusseux. Sul piatto, una carta con un giglio e cinque scritte alternate: Biblioteca / Gabinetto / Scientifico / Letterario / G. Vieusseux. Visione riposante e rassicurante. Ma ancora più attraente era il dorso in tela color sabbia, dove il nome dell'autore e il titolo erano scritti in corsivo e separati da una riga orizzontale. In basso, un numero. Era una soluzione originale, di sottile eleganza, che non ho mai trovato altrove.
Per un caso che non so bene spiegarmi, è rimasto fra i miei libri uno di questi volumi del Vieusseux. Sul dorso si legge: Fargue / riga orizzontale / Poésies. È un libro del '63, quindi devo averlo preso in prestito quando già da dieci anni ci eravamo trasferiti a Roma. Per me è un relitto amato, che mi riconduce a un autore a cui torno sempre, anche solo per il suono della sua lingua, come a un vecchio vizio.».
(Roberto Calasso, Memè Scianca, Milano, Adelphi, 2021, p. 57-59).