- Fonte:
- Franco Fortini - Paolo Jachia, Fortini leggere e scrivere, Firenze, Marco Nardi, 1993.
«La lettura mi è stata quasi sempre conflitto e costrizione volontaria. So di essere stato capace di attenzione sostenuta, anzi fortissima, persino esasperata: lo 'studio' nel senso del modo 'studiarsi di'. Ma dopo aver fantasticato invidiosamente intorno all'agio delle biblioteche e del sapere libresco, so di non essere stato, in questo, né Faust né il Famulus. Qualche volta ho subito la tentazione, anche puerile, di travestirmi da erudito. Nella grande sala Secondo Impero della Bibliothèque Nationale, l'incanto della cerimonia di attesa del turno, tenendo in mano il tesserino plastificato, la discesa ai cataloghi, il paralume... Niente, non era stata altro che una vecchia musica di nostalgia e consolazione: ritrovarmi come quando ero poco più che ragazzo fra i legni scuri e i plutei delle biblioteche di Firenze. Meglio allora l'aria sportiva delle libraries anglosassoni, con le ragazze accucciate sulle moquettes.
Posso leggere seriamente solo a casa mia. A Milano, lavorare nelle biblioteche è impossibile, tutti lo sanno. Non ho rapporti con l'Università. Spesso sono costretto a chiedere alla cortesia di un conoscente un'informazione o una conferma per interurbana. Non è solo la mancanza di spazio a limitare il numero dei libri. È una deliberata rinuncia, una scelta ormai definitiva.».
(Franco Fortini - Paolo Jachia, Fortini leggere e scrivere, p. 9-10)
«Mia madre, invece, la ricordo leggere, sebbene di pochi studi, secondo lo schema ottocentesco che assegnava alla 'signora', piuttosto che alla 'signorina', il ruolo di lettrice di romanzi. Mia madre era abbonata alla Biblioteca Circolante Vieusseux. Leggeva molti romanzi, soprattutto francesi, tradotti o in originale. Volumi con la copertina gialla delle edizioni del “Mercure de France”, che stanno sui tavoli dei personaggi di Van Gogh, li ho visti per casa. Ma più spesso quelli della Biblioteca Vieusseux con la copertina rilegata, molto robusta e maculata di color grigio marrone con su incollato un biglietto a stampa, con un ex libris. Ogni tre o quattro giorni mia madre andava a cambiare quei libri alla sede del Vieusseux e vi prendeva in prestito anche libri per me. Certi libri che, come si diceva, non erano “adatti alla mia età” devono avermi raggiunto in quel tempo. Penso a Lucio D'Ambra o Luciano Zuccoli.».
(Ivi, p. 19)
«Lessi nella Biblioteca Marucelliana la collezione di “Lacerba”. Ero curioso di quel momento delle avanguardie che corrispondeva alla giovinezza di mio padre. Posso oggi credere che ne assorbissi assiduamente tutto quel che si riferiva ai confini politici, di cui altrimenti non si parlava.».
(Ivi, p. 28)