Avati (2013)

Fonte:
Pupi Avati, La grande invenzione: un'autobiografia, [Milano], Rizzoli, 2013.

«La folgorazione avvenne a quindici anni, un giorno che ero malato d'influenza. Dopo avermi isolato a casa della zia Laura e dello zio Tini perché non contagiassi i miei fratelli, mia madre mi portò alcuni libri che aveva pescato come sempre alla biblioteca circolante della chiesa di San Giuseppe [a Bologna]. Sceglieva dei titoli a caso, e tra le novità quella volta c’era un libretto appena uscito per Mondadori, scritto da un certo Jain Lang che s’intitolava Il Jazz. Conteneva delle biografie, ognuna non più lunga di sei-sette pagine, ma erano presenti tutti i principali protagonisti della scena musicale americana: Louis Armstrong, Duke Ellington, Benny Goodman...
L’ultima vita raccontata era quella di Bix Beiderbecke, e quando arrivai al suo capitolo capii che quel Bix era esattamente come me, con lo stesso rapporto con la famiglia, la stessa voglia di uscire dai codici comportamentali, però al contempo anche la stessa necessità di tenere insieme il rapporto coi genitori e i fratelli, di non lasciare niente, di rendere tutto compatibile pur non perdendosi le opportunità che c’erano là fuori, ossia: l’America.»
(Pupi Avati, La grande invenzione).

«In realtà non so ancora nulla di come si fa un film, o meglio ho un sacco di conoscenze, ma sono tutte teoriche e fondate sulla lettura di moltissimi libri (già all'epoca decisamente datati), che vado a pescare alla Biblioteca dell'Archiginnasio. Spiegano per filo e per segno l’estetica cinematografica, ma sul fronte pratico, della sintassi, della grammatica, di come si gira un film o di come si proceda a un montaggio, non dicono nulla e io continuo ad averne un'idea molto vaga.»
(ivi).

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