- Fonte:
- Vittorio Sereni, 25 aprile a Casablanca, «L'unità», 42, n. 100 (11 apr. 1965), p. 7.
«Qui, nel campo di Fedala, a pochi chilometri da Casablanca e a due passi dalle onde dell’Atlantico, il tempo della prigionia in tenda e in Algeria era oramai un ricordo: ma era già il ricordo, anche, di una fase in cui eravamo stati più vivi, più tesi verso l’esterno, verso un’immagine del futuro. Era stato il tempo degli esami di coscienza individuali, ma anche delle discussioni alimentate dalle brevi notizie che non senza riluttanza gli americani lasciavano ricavare dal giornale Stars and Stripes e condensare in un asciutto bollettino; e per il resto dalle voci incontrollate che penetravano nei campi. [...]
Le discussioni, il precedente e più aspro stato di prigionia ci avevano divisi e uniti a seconda dei casi, ci aveva uniti la comune necessità di organizzarci un’esistenza destinata a durare chissà quanto, riunioni e dibattiti, esercitazioni e corsi universitari veri e propri, biblioteche circolanti, spettacoli teatrali: e ora, lì in quel grande campo dai viali asfaltati, senza più torrette né sentinelle, dentro quelle baracche quasi linde, con belle docce funzionanti, una discreta cucina, sotto la tutela del capitano Kennedy, lì nel campo di Fedala, in vista di Casablanca e dell’Atlantico, niente più di tutto questo, ma l’insensibilità a ogni notizia che non fosse quella del rimpatrio, l’insofferenza reciproca, lo spiare nell’altro i sintomi di quell’insofferenza e di quella febbre del ritorno, come di un brutto male da cui tutti sapessero di essere colpiti e che tutti volessero nascondere agli occhi altrui».
(Vittorio Sereni, 25 aprile a Casablanca. Il testo, col titolo L’anno quarantacinque e piccole varianti, è stato ripubblicato in varie raccolte del poeta, tra le quali Gli immediati dintorni: primi e secondi, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 93-101)