- Fonte:
- Benedetto Croce, Contributo alla critica di me stesso, Napoli, Ricciardi, 1918.
«Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio. Non ebbi amici, non partecipai a svaghi di sorta; non vidi nemmeno una sola volta Roma di sera. Mi recavo all'università per il corso di giurisprudenza, ma senza interessamento, senza essere nemmeno scolaro diligente, senza presentarmi agli esami. Più volentieri mi chiudevo nelle biblioteche, particolarmente nella Casanatense, allora servita ancora da monaci domenicani e coi banchi provvisti di calamai dal grosso stoppaccio, di polverini dalla sabbia dorata e di penne d'oca; e vi facevo ricerche in vecchi libri su temi scelti da me e con metodo e preparazione che andavo formando da me, tra incertezze e sbagli e difetti ed eccessi. Mi sottomisi anche a molteplici studi di cultura, ma iniziando e tralasciando e ripigliando, disordinatamente, non tanto per impeto di forza che mi sbalestrasse or di qua e or di là, quanto perché non conoscevo l'arte dello studiare e non avevo né la docilità dello scolaro né la sicura e vigorosa passione dell'autodidatta.»
(Benedetto Croce, Contributo alla critica di me stesso, p. 18-20).