- Fonte:
- Salvatore Di Giacomo, Paisiello e i suoi contemporanei, in Napoli: figure e paesi: il teatro, la canzone, la storia, la strada, Napoli, Perrella, 1909.
La vecchia biblioteca de’ Gerolamini di Napoli – che è, per dire più precisamente, quella dei padri Filippini – è frequentata da pochissimi studiosi, preti per lo più, che vi s’intrattengono a leggere i fascicoli della Civiltà cattolica o qualche ingiallito volume de’ Bollandisti. La sala di lettura è piccola e povera – ma pulita e ordinata. Qui, nell’alta quiete, un mormorio, talvolta, o un di que’ rumori nasali che vi svelano il prete a cento passi: de’ chierici leggono sottovoce e interrogano ò piegati sull’in folio – il latino del poderoso volume che si squadernano davanti: un vecchio prete annusa beatamente la sua presa di tabacco e ne fa rintronare le sue froge capaci. Di fuori è una pace profonda. Il giardino del claustro prospera al sole: le ortensie rosee e azzurrine lo popolano con una variopinta decorazione, qua e là occhieggia vividamente il geranio scarlatto e – di tra il folto d’un agrumeto – gialleggiano, con un riflesso dorato, i limoni. Mi metto a sedere a una delle grandi tavole in sala di lettura e mi faccio portare dal vecchio distributore la copiosa cartella de’ manoscritti di Agostino Gervasio. Tra quelle carte dev’essere una in cui – l’ho appurato da un amico che le ha consultate prima di me – è riferita una conversazione che il Gervasio ebbe con Giovanni Paisiello, in Napoli, quando il maestro era già vecchio e si poteva ben permettere di manifestare sinceramente il suo pensiero intorno a’ suoi contemporanei musicisti.»
(Salvatore Di Giacomo, Paisiello e i suoi contemporanei, p. 211-212).
(Salvatore Di Giacomo a un tavolo della Biblioteca dei Girolamini)