Placanica (1976)

Fonte:
Civiltà di Calabria: studi in memoria di Filippo De Nobili, a cura di Augusto Placanica, Chiaravalle C.le (CZ), Effe Emme, 1976.

«Feci la prima conoscenza del bibliotecario Don Pippo al tempo della mia fanciullezza, quarta elementare o prima media tutt'al più: già in casa ne sentivo parlare ogni tanto, come di un uomo fuori del normale che vìveva in mezzo ai libri, e, allorché potei conoscerlo di persona, egli sembrò ancor più vecchio e venerando di quanto avessi immaginato e di quanto in realtà non fosse. Mio padre era lontano, in guerra, ed era il mio nonno materno, un vecchio avvocato massone e antifascista di Catanzaro, che si prendeva più assidua cura di me e che amava portarmi spesso con sé a passeggio, dirigendo di tanto in tanto i suoi passi verso il regno di Don Pippo. La biblioteca, allora, era sistemata al piano terreno del palazzo comunale; vi si accedeva sùbito: bastava salire qualche gradino e, attraverso una porticina a vetri come quelle delle case di paese, ci si immetteva direttamente in una sorta di vestibolo angusto e in penombra, sul quale si aprivano alcuni passaggi alle sale della biblioteca; nell'àndito, quasi di fronte a chi entrava e in mezzo a scaffali con libri, si ergeva un breve armadio a vetri (era il catalogo a schede mobili in grossi volumetti), i cui sportelli recavano, infilati molto semplicemente dietro i vetri e lungo le cornici, fotografie di singoli o di gruppi e alcuni telegrammi: insomma, da ogni cosa spirava un'aria raccolta di famiglia; e finanche quel rapido incontro con la penombra, appena attenuata dal sole che filtrava dalla porta a vetri, l'angustia dell'ingresso, un certo indefinibile sentore come di umidità, il predominante odore dei libri, tutto mi faceva sentire ancora a casa mia; tutt'al più mi pareva d'essere andato a casa di amici, e perciò non provavo soggezione, e credo che nessuno ne provasse, almeno nei suoi primi contatti con la biblioteca. A destra, sempre tra scaffali con libri, si apriva un altro varco, anch'esso piuttosto angusto ma tutto illuminato da una finestra che, lungo lo stesso filo dell'entrata, dava sulla strada; qui, dietro a una piccola scrivania ingombra di carte e penne, seduto a una vecchia poltrona dì velluto scarlatto [...] stava Don Pippo: da quel suo posto, mirabilmente scelto, aveva sempre sott'occhio da una parte libri e studiosi e dall'altra la frequentatissima via Jannoni [...].
Don Pippo non era mai solo: c'era sempre con lui qualche studioso, oppure un esiguo gruppo di suoi personali frequentatori, e nel familiare andirivieni c'era spazio per raffinati suggerimenti bibliografici e anche per bonari pettegolezzi. [...] Io stavo lì in mezzo, ma non facevo in tempo ad annoiarmi: infatti, poiché i «grandi» dovevano parlare tra di loro ed esercitare l'innocente jus murmurandi sul regime o sui maggiorenti locali. Don Pippo si preoccupava, sùbito e senza tanti complimenti, di levarmi dì torno e mi accompagnava alla «Sala Serravalle », un lungo stanzone che dava anch'esso sulla strada attraverso ampie finestre, tutto tappezzato dì libri alle pareti e percorso nel centro da bellissimi e massicci tavoli a leggìo di un caldo color noce chiaro: Don Pippo mi faceva sedere lì e mi dava in mano qualche romanzo dì Verne o ì volumi di geografia o preistoria di Flammarion, o altrettali, tutti in edizioni tardottocentesche illustrate da incisioni per me bellissime e misteriose, con quei chiaroscuri che addirittura mi affascinavano, poi, nelle tavole del Doré illustranti la Divina Commedia o il Don Chisciotte. Io leggevo e ammiravo estasiato e ogni tanto, quasi nascosto dietro il tavolo-leggìo, levavo lo sguardo a osservare gli altri lettori: ce n'erano sempre due o tre, non di più, intenti a leggere o a prendere appunti, e spesso Don Pippo entrava nella stanza, si chinava a leggere con loro oppure si metteva a cercare altri libri negli scaffali; e io ricordo ancora con infinita nostalgia quella sala raccolta e silenziosa, talora rallegrata dagli scoppi dì risa dei frequentatori più giovani, e come il sole, filtrando dalle finestre, si posasse sulle persone intente a leggere, illuminando ora la canìzie di un vecchio lettore ora le chiome fluenti di una laureanda; certe volte capitava che un giovanotto e una signorina lasciassero di leggere e si mettessero a chiacchierare sottovoce e a lungo, ogni tanto volgendo gli occhi alla porta perché non fossero scorti da qualcuno nel mezzo del loro tenero parlare. Talora, non senza circospetto timore, mi alzavo e andavo in giro per l'ampia sala: tutt'intorno si snodavano lunghe file dì volumi ordinati in collezione, con le loro eleganti rilegature in pelle: c'erano molti libri vecchi e austeri, spesso anche di grandi dimensioni, che spiravano nobiltà coi loro dorsi dai tasselli multicolori e dalle incisioni in oro, ma che avevano lì, anch'essi, un'aria dì famìglia; soprattutto mi attraevano certi altri volumetti, piccoli o addirittura minuscoli, anch'essi disposti in lunghissime serie, tutti rilegati alla stessa maniera e con certi titoli latini o francesi che eccitavano la mia fantasia. Quando Don Pippo o il nonno venivano a riprendermi, io lasciavo quel luogo sempre a malincuore, e non senza invidia per coloro che potevano lavorarci a proprio agio [...].
Cresciuto negli anni – ginnasio, liceo –, mantenni rapporti discontinui con la biblioteca: me ne servivo talora per qualche ricerca spicciola o per soddisfare qualche curiosità, e sempre – come tutti – dovevo preliminarmente rivolgermi a Don Pippo. Passato il tempo del nonno e degli amici del nonno, ora lo trovavo spesso in compagnia di giovani professori del luogo o di altri più recenti professionisti e talora in alcuni di essi ravvisavo i giovanissimi frequentatori di un tempo. [...]
Ciò che colpiva in Don Pippo, infatti, era l'estrema disponibilità verso i giovani e i giovanissimi: era, quello degli anni tra i Quaranta e i Cinquanta, il periodo della riscoperta della libertà nelle scuole [..].»

(Augusto Placanica, Premessa, in: Civiltà di Calabria: studi in memoria di Filippo De Nobili, p. 9-20: 9-11).

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