Prezzolini (1909)

Fonte:
Giuseppe Prezzolini, Firenze intellettuale. I. Il Gabinetto G. P. Vieusseux, «La Voce», 1, n. 4 (7 gennaio 1909), p. 15.

«Ci credete?
Io no. Non ci credo più. È anche questa una frottola o una leggenda, che, come tutte le frottole e tutte le leggende, veleggia sopra il mare tranquillo e oliaceo dell’accettazione umana, finchè un vento di tempesta non la sommerga.
No, Firenze, sebbene abbia tante scuole e tante biblioteche, tanti professori e tanti laureati, non è una città intellettuale. O meglio, l’intellettualità di Firenze è una veste di ipocrisia e di abitudine per coprire la segreta vergogna di una delle cose che all’amore del sapere sono più opposte. L’intellettualità di Firenze funge da calzoni, da quei calzoni «che fatti per coprire la lussuria e la vergogna, noi abbassiamo tutte le volte che a quelle fa comodo». [...]
Non si tratta di frasi, ma di fatti. E mi accingo a darne le prove tratteggiando le varie istituzioni di coltura che possediamo a Firenze. Si prenda, ad esempio, il Gabinetto Vieusseux. Esso ha una tradizione incontestabile di serietà e di studio che ne fa uno dei più simpatici e rispettabili luoghi di lettura di tutta Europa. Il fondo antico di libri che possiede lo rende inattaccabile da qualunque concorrenza del genere; e sebbene ora, nelle compere, vi predomini un po’ troppo il gusto delle zitelle inglesi e delle signore sfaccendate della borghesia fiorentina e dei loro marmocchi, non si può negare che si indulge spesso a libri d’arte e di pensiero, o per lo meno, a ciò che per molti tiene la via di mezzo, a libri di storia e di politica. Una simile istituzione si trova però in grave pericolo. Se alla morte del signor Vieusseux, attuale proprietario, essa cade in mano di uno speculatore, ecco una gloria, ecco una tradizione, ecco uno strumento di coltura che finisce. A questo pericolo si voleva ovviare costituendo una società in accomandita, con un capitale di lire 300.000. I bilanci erano stati esaminati da persone di serietà indiscussa e di notoria competenza nelle questioni librarie. Il reddito degli azionisti sarebbe stato onesto. Ebbene: un Comitato, nel quale erano pure professori del R. Istituto di Studi Superiori, Consoli di vari paesi ecc. non è riuscito a trovare in Firenze quella miserabile somma che era necessaria per assicurarle, davvero, un titolo di città intellettuale. Si pensi che nelle Biblioteche pubbliche il servizio è (salvo che alla Marucelliana) lento, noioso, pieno di impacci burocratici e di vizi che neppur l’operosità e la rigidezza lodevole del Morpurgo hanno potuto ovviare; e che le glorie straniere e i libri interessanti vi penetrano, in media, cinque o dieci anni dopo che cominciano a escire dall’oscurità. Un comitato che presiedesse, invece, al Gabinetto Vieusseux, avrebbe il modo di riparare al grave inconveniente, consigliando saggiamente il direttore e collaborando agli scopi della coltura. Ma tutte queste ed altre riflessioni che si potrebbero fare, non sono state sufficienti perchè tanti di quei signori che bramano rappresentate l’intellettualità fiorentina e spendono in feste e fondano società che hanno servitori in marsina e fanno scampagnate in automobile con la scusa di vedere i monumenti antichi, abbiano trovato nelle loro saccoccie di che salvare l’avvenire del Gabinetto Vieusseux.
E sapete perché? Perché il Gabinetto Vieusseux è un’istituzione seria: perchè le signore patronesse non vi potrebbero offrire dei thè; perchè bisogna leggere in silenzio e non chiacchierare o giocare a tresette, come certi professori fanno tutte le sere in una società di autodicentesi intellettuali; perchè non ci sarebbe modo di farvi sfoggio di marsine, di cravatte, di titoli gentilizi o di titoli bancarii, di automobili e di servitori in livrea.
L’intellettuale fiorentino di fronte al libro e alla serietà recalcitra: e va a cercare le soddisfazioni dell’intelligenza in compagnia delle grandi signore. Se non gli date una carrozza, se non gli preparate un buon pranzo, e sopratutto una conversazione delicata, leggera e vuota di tutto ciò che appassiona e commuove, vi guarderà di mal occhio e non troverà in tasca neppure uno di quei napoleoni che sacrifica così volentieri per stare in una società dove non sia troppo seccato da cose serie e non sia costretto a pensare dopo pranzo, perchè tutti i medici gli hanno detto che fa male, né prima di pranzo, perchè ciò gli toglie l’appetito.
L’intellettuale fiorentino muore, in generale, di male di stomaco o d’una polmonite buscata a una serata di gala: non mai di mal di cervello.»
(Giuseppe Prezzolini, Firenze intellettuale. I. Il Gabinetto G. P. Vieusseux, «La Voce», 1, n. 4 (7 gennaio 1909), p. 15.)

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