- Fonte:
- Giuseppe Orioli, Le avventure di un libraio, introduzione di Alberto Vigevani, Milano, Il Polifilo, 1988.
«Nell'impossibilità di sobbarcarsi più oltre la spesa di mandarmi a scuola, mio padre mi mise nella bottega di un barbiere all'età di dodici anni. Avevo ben poco da fare, tranne il sabato e la domenica. [...]
In questo periodo cominciai a ricuperare il tempo perduto in fatto di cognizioni generali. Mi occupai di geografia, poiché non avevo imparato niente a scuola, e presi a leggere libri. Il primo che mi capitò fra le mani fu un romanzo di Paolo de Kock – di cui non ricordo il titolo – che parlava di una prostituta.
Mia sorella tentò di farmi leggere I Miserabili in una versione italiana, ma il libro non mi piacque, come non mi piace neppure ora. D'altra parte uno studente in medicina di nome Sandrino, che si trovava a casa in vacanza, mi prestò Nanà di Zola, e altri tre o quattro romanzi dello stesso autore. Nanà era il mio libro preferito. Poi il bibliotecario della nostra piccola biblioteca circolante, il maestro [Vincenzo] Ballardini (che era il migliore dei nostri insegnanti scolastici e col quale sono ancora in corrispondenza), mi prestò alcuni libri di Flammarion, di Giulio Verne e di Dumas.
Non so perché, non mi piacevano le opere nostre come I Promessi sposi, Marco Visconti ed Ettore Fieramosca. Mi annoiavano e quindi continuavo ad attingere dalle versioni italiane della letteratura francese, appassionandomi alle opere di Montépin, Eugenio Sue e di altri autori di romanzi d'appendice. Solo durante il servizio militare, e non prima, cominciai a studiare i grandi autori italiani come Dante e Ariosto, nonché le traduzioni dei classici greci e latini.».
(Giuseppe Orioli, Le avventure di un libraio, Milano, Il Polifilo, 1988, p. 19-20. Il libro uscì in inglese a Firenze nel 1937, col titolo Adventures of a bookseller, e dopo la morte dell'autore fu pubblicato in italiano, a Milano, da Modernissima, nel 1944).