«The Queen of Ecclesiastical Collections». Con queste parole Elias Avery Lowe (1879-1969), paleografo russo naturalizzato americano e docente presso le università di Oxford e di Princeton, definì la Biblioteca capitolare di Verona. Le prime notizie sull’attività di uno scriptorium annesso alla Schola sacerdotum della cattedrale risalgono al IV secolo d.C., ma la certezza della sua presenza è attestata dalla sottoscrizione lector ecclesiae veronensis del chierico e copista Ursicino datata 1 agosto 517 e presente sul ms. XXXVIII ancora oggi conservato nella Capitolare.
Nei secoli successivi la produzione di codici continuò e nel IX secolo, sotto la guida dell’arcidiacono Pacifico, lo scriptorium confezionò più di 200 manoscritti. Alcuni storici sostengono che un apografo di Catullo, ora perduto, fu venduto nel X secolo dal vescovo di Verona Raterio: di questo codice se ne persero le tracce fino al XIV secolo quando sembra essere ricomparso, sempre a Verona, tra le mani di Guglielmo da Pastrengo e dell’amico Francesco Petrarca. Nell’XI secolo proseguì la redazione di testi liturgici e musicali che raggiunse il massimo splendore grazie al cantore Stefano. Dal XIII secolo la Capitolare vide diverse personalità medievali varcare le sue porte. Dante fu invitato nel 1320 dal Capitolo della cattedrale, e dunque dalla biblioteca, a tenere l’orazione Quaestio de aqua et terra, svoltasi nella chiesa canonicale di S. Elena, e Petrarca vi trovò nel 1345 il codice, ora perduto, contenente le fino ad allora sconosciute epistole ciceroniane Ad Atticum, Ad Brutum, Ad Quintum fratrem. Dal XVI secolo illustri esponenti della cultura veronese, tra cui Paolo Dionisi e Girolamo Fracastoro, amico di Pietro Bembo, donarono i loro patrimoni librari alla biblioteca. Nel 1625, con l’aumento del numero dei volumi, i canonici cominciarono a pensare di spostare la biblioteca dal locale al pianterreno del lato orientale del chiostro capitolare, dove fino ad allora era stata ubicata, in un ambiente nuovo e più ampio da costruire sopra la sacrestia canonicale. Il bibliotecario del tempo, Agostino Rezzani, per timore di dispersioni e di razzie, nascose i codici e i libri a stampa dentro le cimase degli armadi di una stanza dell’edificio, ma morì di peste nel 1630 e portò con sé il segreto del nascondiglio. I preziosi volumi furono ritrovati solo nel 1712 grazie alle ricerche di Scipione Maffei e del canonico Carlo Carinelli. Nel 1812 lo storico e diplomatico tedesco Barthold Georg Niebhur durante un suo viaggio in Italia riscoprì il celebre palinsesto delle Istitutiones di Gaio databile al V secolo d.C. (ms. XV), unico testo superstite al mondo della giurisprudenza classica privo di manipolazioni di epoca bizantina. La ricchezza della Capitolare non rimase sconosciuta a Napoleone al suo arrivo in Italia nel 1796: egli inviò una commissione di esperti che selezionò 31 manoscritti e 20 incunaboli da destinare alla Bibliothèque nationale di Parigi. Alla caduta dell’Impero la Capitolare si vide restituire solo i due terzi dei libri sottratti. Tra la fine del XIX secolo e la metà del XX due eventi misero in drammatico pericolo i tesori della biblioteca: l’esondazione dell’Adige del 1882 compromise per il fango le undicimila pergamene conservate nell’Archivio capitolare e il 4 gennaio del 1945 l’aula maggiore della biblioteca venne distrutta dai bombardamenti alleati. Fortunatamente l’abate e bibliotecario del tempo, Giuseppe Turrini, si distinse sia per aver recuperato e catalogato il materiale documentario danneggiato dopo l’inondazione, sia per aver messo in salvo preventivamente ad Erbezzo in Lessinia (nelle Prealpi veronesi) i manoscritti e gli incunaboli durante il secondo conflitto mondiale.
Ricostruita nell’immediato dopoguerra, attualmente la biblioteca conserva 1.200 manoscritti, 245 incunaboli, 2500 cinquecentine, 2800 seicentine e oltre 70.000 libri moderni. Tra i più importanti codici custoditi nella Capitolare si ricordano, oltre ai già citati, i Fragmenta di Virgilio (ms. XL), il De civitate Dei di Agostino (ms. XXVIII) e l’Evangelario purpureo veronese (ms. VI) del secolo quinto; il più antico libro liturgico della Chiesa occidentale, il Sacramentarium Veronensis del secolo VI (ms. LXXXV); l’Orazionale mozarabico del secolo VIII, contenente il più antico testo in lingua romanza, l’Indovinello veronese, di cui si propone la lettura: «se pareba boves / alba pratalia araba / et albo versorio teneba / et negro semen seminaba / Gratias tibi agimus omnipotens sempiterne deus».
Maddalena Battaggia
Sito della Biblioteca: <http://www.bibliotecacapitolare.it/>
Anagrafe biblioteche italiane: <https://anagrafe.iccu.sbn.it/isil/IT-VR0056>
Giovan Battista Carlo Giuliari, La Capitolare biblioteca di Verona, Verona, [s.n.], 1888.
Giuseppe Turrini, La Biblioteca capitolare di Verona, «Archivio storico italiano», 89, s. 7 vol. 15 (1931), n. 2 (338), p. 285-290.
Gian Paolo Marchi, La Biblioteca capitolare di Verona, Verona, Banca mutua popolare di Verona, 1977.
Alberto Piazzi - Giusepe Zivelonghi - Francesco Graziani, La Capitolare di Verona: la più antica biblioteca d’Europa, Verona, Centro di formazione professionale per la grafica "Stimmatini", 1986.