- Fonte:
- Gianna Manzini, Quaranta minuti d'allarme, «Mercurio», I, n. 2 (1° ott. 1944), p. 45-46.
«La prima volta le aveva parlato in biblioteca. Curvo sulla sua testa, mentre ella sfogliava uno schedario, l'aveva aiutata in una ricerca; ma invece di leggere le stesse parole, s'era incantato a guardarle le pupille scorrere da un capo all'altro del rigo, dietro la frangia delle ciglia. Sottomettendosi a quel movimento, ora vivace, ora lento, ora interrotto, s'impadroniva d'un segreto, spiava, s'addentrava furtivamente in una proibita elementare intimità. Della lettura di lei, assorbiva il ritmo, il puerile indugiare quasi d'inconfessata balbuzie, l'ondoso aderire dell'intelletto, e, in certe rapide gioconde riprese, forse lo scatto, il prensile riporre della memoria».
(Gianna Manzini, Quaranta minuti d'allarme, «Mercurio», I, n. 2 (1° ottobre 1944), p. 45-46. Il racconto è stato poi raccolto in Forte come un leone, Milano, Mondadori, 1947, e in Cara prigione, Milano, Mondadori, 1958). Si avvertono gli echi della frequentazione della Biblioteca nazionale di Firenze e l'incontro con Bruno Fallaci, che Gianna Manzini sposerà alla fine del 1920).