- Fonte:
- Guglielmo Petroni, Il nome delle parole, Milano, Rizzoli, 1984.
«A questo punto occorreva impossessarsi delle parole necessarie per adeguarsi agli oscuri sovvertimenti che le nuove immagini [della pittura moderna] avevano provocato nel mio povero spazio spirituale; ma non era poi tanto semplice, anche perché i libri che Beppe [Ardinghi] mi presentava ogni sera, il più delle volte erano scritti in francese. Fu per cercare di imparare i misteri di quella lingua che cominciai a frequentare la Biblioteca Statale [di Lucca].»
(Guglielmo Petroni, Il nome delle parole, p. 50).
«I momenti che riuscivo a scappare da bottega li trascorrevo alla biblioteca dove ormai sapevo trovare tutto ciò che via via mi occorreva. Molti libri italiani riuscivo a leggerli in negozio durante le lunghe ore d'attesa dei clienti; quelli francesi, che ormai misteriosamente riuscivo a decifrare, li trovavo soltanto in biblioteca.
Il volterriano Zadig, eppoi Jean Jacques: il Discours sur l'origine de l'inegalité, Emile, le Rêveries du Promeneur solitaire, La nouvelle Héloïse; infine Paul e Virginie dell'ineffabile abate, e Chénier, e Lamartine, De Vigny, furono i primi incontri letterari che suscitarono anche segreti entusiasmi ideologici. Al mio Leopardi, dopo tutto, in gran parte doveva confacersi questa mia scorribanda sotto il suo incontrastato magistero.»
(ivi, p. 53).
«Al tempo di questa mia seconda avventura militare avevo superato i venti anni; continuavo ad alzarmi presto per dipingere, dividevo uno studio col mio grande amico e maestro Beppe, scrivevo poesie, consumavo pagine di libri che si chiamavano ininterrottamente gli uni con gli altri, trascorrendo molte ore nella sala di lettura della Biblioteca Statale.»
(ivi, p. 62).