- Fonte:
- Antonio Anzillotti, Livorno, «La Voce», 1, n. 40 (16 settembre 1909), p. 163-164.
«Non esagero affermando che Livorno è la città della speculazione mediocre, l’emporio del trafficante gretto, che non conosce arditezze di nessuna sorta, vive alla giornata e si racchiude gelosamente nel suo stretto cerchio di attività. [...]
Qui gli affari hanno soffocato ogni forza ideale; qui non si contratta, si vende; ma non si studia: chi vuol studiare sa come fare: Pisa è vicina; essa è la città che vive della sua università ed è quindi lo studio aperto al livornese che ne ha voglia: là bisogna andare. [...]
La Biblioteca Labronica è discreta; ma mostra bene coi suoi cataloghi ch’essa non ha un progresso proprio, vitale, sotto l’impulso, che viene dalla richiesta, dall’interessamento giornaliero, dai suggerimenti, dai bisogni improrogabili del ceto fisso e serio degli studiosi. Il Municipio e la Commissione dirigente cercano di mandarla avanti nel miglior modo possibile e di migliorarla; ma spesso quest’opera rassomiglia troppo a ciò che si fa nel cantiere per quei vecchi navigli, ai quali si tappano le falle e si rende più moderna l’alberatura, per rimediare alla costruzione antiquata. Una biblioteca, che ha una media di una ventina di lettori al giorno, i più dei quali ricercano (a testimonianza dei registri di richieste) un libro o una [...] lettura, per ammazzare un po’ meglio un’ora del giorno, non può che rivelarci una vita artificiale, che ha bisogno sempre, mi si passi la frase, dell’aiuto dell’ossigeno da parte dei suoi dirigenti. La biblioteca vivacchia, ecco tutto: ma non ha un carattere, un’attività propria, sia pur ristretta, come l’ha quella universitaria di Pisa. – In essa non ha fatto il suo ingresso ancora molta parte di ciò che in quest’ultimi anni ha prodotto il pensiero italiano e straniero di più vitale, di più originale. Se possiede qualche volume di data recente divenuto notissimo, manca degli strumenti più importanti per una ricerca filologica e letteraria; non sembra che abbia molta simpatia per le scienze sociali, se non può darci alcun lavoro recente di economia politica, se disdegna di avere gli studi che illustrano i movimenti sociali moderni e che ormai son penetrati nella pubblica discussione e nel gran pubblico, ed è priva dei libri che rispecchiano la profonda crisi religiosa e morale che tormenta l’età nostra. Si vogliono esempi? Li credo inutili: chi vi è stato lo ha potuto constatare: ma, se posso citare a casaccio, come mi ha detto la memoria, ricorderò che la Labronica non possiede un sol volume di Giorgio Sorel, di Gaetano Salvemini, di Giovanni Gentile; che non ha i saggi famosi di Antonio Labriola; che non ha mai acquistate edizioni, almeno discrete, delle opere classiche della filosofia italiana e straniera, come, per esempio, dell’Hegel; che ignora l’esistenza della «Critica» del Croce e non può aiutare nei suoi studi qualunque studente, che abbia bisogno di un manuale di economia, quali possono essere il Gide, il Supino, il Pareto, o di uno dei grandi trattati della storia della letteratura classica, come può essere lo Schanz. – Ma questo è facilmente spiegabile: chi capita in quella sala deserta chiederà sempre – e potrà ottenere – libri di conoscenza comune: sarebbe ingenuo domandare ad una biblioteca, abbandonata dal pubblico, gli strumenti più raffinati della nuova coltura.»
(Antonio Anzillotti, Livorno, «La Voce», 1, n. 40 (16 settembre 1909), p. 163-164)