- Fonte:
- Federigo Tozzi, Novale, nuova ed. a cura di Glauco Tozzi, Firenze, Vallecchi, 1984.
«[Siena] Ancora 13 giugno 1907.
[...]
Più che l'amore non c'è. L'inchiostro s'è appastato dentro i calamai. In media vanno tre lettori il giorno. E che lettori!.......»
(Federigo Tozzi, Novale, p. 109-110, dalla Biblioteca comunale di Siena. La prima edizione di questa scelta di brani di lettere alla fidanzata, curata dalla vedova Emma, fu pubblicata da Mondadori nel 1925)
«15 giugno 1907.
[...]
Ma in Biblioteca io studio bene. La gente non dà noia. Solamente gli impiegati non hanno molta garbatezza! E poi, quando voglio trovare un libro, bisogna che, stando col naso su la spalla dell'impiegato che sfoglia le schede, agguanti con gli occhi il nome dell'autore, mentre che sta per sparire. Non so se m'hai capito. E gli autori, che domando io, non sono molto noti. Conviene che li presenti scritti all'impiegato, il quale, brontolante un poco, se ne va allo schedario. Per trovare il Bartsch, dovetti bisticciare quasi.
Osservare queste cose potrebbe essere bene. Ma non le so scrivere!
[...]
Che pasticci... poetici ancora! Da Dante alla Bibbia, dalla Bibbia a Omero, da Omero a Platone, da Platone al Maeterlinck, dal Maeterlinck al Leibniz, e dal Leibniz a Dante e via in un cerchio d'imagini. Mi vergogno perfino a scriverlo. Ne faccio il viso rosso. Ma come mi si potrebbe comandare un certo ordine, se io ho appetito di tutti? In questo momento ho ripensato a Virgilio, e sono stato proprio lì per aprirlo.
[...]
Oggi t'avrei fatta arrabbiare per un certo nome biblico. L'ho dovuto cercare in molti libri, perché in principio non sapevo se fosse biblico o no. Dunque, prima ho dovuto con la mia ignoranza conoscere questo. Poi ritrovarlo in un dizionario scritto in latino. E perché non mi piaceva la spiegazione che ne derivava, ho guardato nell'Enciclopedia italiana e francese, nel dizionario geografico, nel dizionario latino, nel dizionario d'antichità, in quello mitologico, ecc. L'impiegato mi guardava. Sai: tutti questi libri sono in quello scaffale basso che è vicino alla porta, ed io li prendevo di mano in mano che li scorgevo.»
(ivi, p. 110-111).
«3 settembre 1907.
[...]
Il Donati, che ha negato a me i libri ch'egli chiama di lettura amena, quelli del d'Annunzio, dell'Ibsen ecc., li dà, al contrario... ai consiglieri comunali. A que' pochi che vanno in Biblioteca. Naturalmente, gli domanderò se per studiare è necessario essere prima consiglieri. A me li negò per questa ragione: «Li ha letti già, e può far a meno, quindi, di riprenderli!». I consiglieri, si capisce, non li conoscono ancora, e quindi... bisogna che li prendano. Mi pare d'essere molto più giù che a Siena. Si vede che le zucche s'incontrano da per tutto. Rimetto un po' d'onore ai nostri babbi...........»
(ivi, p. 145. Fortunato Donati era il direttore della Biblioteca comunale).
«28 dicembre 1907.
......... Fui fermato dinanzi al Greco dal Rondini, che è il corrispondente della Nazione e uno degli egregi redattori della Vedetta. Il quale mi chiese se avevo letto la sua polemica intorno alla biblioteca, avendogli io promesso, quando ti scrissi delle sciocchezze del direttore, di scrivere qualche cosa...........»
(ivi, p. 197).
«30 dicembre 1907.
Sono in Biblioteca da un'ora. Ma capisco che se voglio lavorare devo studiare meno che mi sia possibile ............»
(ivi, p. 198).
«31 dicembre 1907.
................ i versi che ti son piaciuti sono di Elena Vacaresco........... è una grande poetessa............ Stasera ho letto, in biblioteca, un novelliere del cinquecento: un realista, che m'è piaciuto.............»
(ibidem).
«29 gennaio 1908
[...]
............ Ho intenzione di andare in biblioteca, per leggere un libro molto raro del '400 (l'autore è del '300). La Nave c'è, ma non la leggo, per non disturbare l'ordine dello studio. Ora influirebbe (lo stile) con danno, forse. Leggo le prose scelte. Ho capito che prima di leggere un libro, in questo tempo, devo riflettere se esso mi sia utile o dannoso. E la Nave è troppo differente da quel che leggo qui a casa: Platone.»
(ivi, p. 211).
«23 febbraio 1908.
............ Guarda tu nel Fanfani se c'è fuora = fuori. Poi, se non c'è, io guarderò nel codice dei vocabolarii, nella Crusca. Ti piace questo principio di lavoro? – Trenfiare non c'è, ma lo lascio perché mi piace. Ci guardai l'altra sera.»
(ivi, p. 218).