- Fonte:
- Giorgio Levi Della Vida, Un cimelio da rintracciare negli scaffali della Vaticana, «Corriere della sera», 21 agosto 1954.
«Uno studioso antifascista che consumava nell’augusta biblioteca apostolica vaticana gli ozi procuratigli dal regime coll’averlo rimosso dal suo posto di insegnante, e si guadagnava un pane sostanziale e soprasostanziale scartabellando vecchi manoscritti orientali, conobbe colà Alcide De Gasperi, il quale nel piano sottostante a quello della sala di studio era intento al lavoro assai meno gradevole di schedare libri per il catalogo. I due «banditi» non s’erano mai incontrati prima; e per quanto, negli otto anni di consuetudine quotidiana dal 1931 al 1939, non si incontrassero mai fuori dalle mura del vecchio edificio di Sisto V e anche entro a queste i loro colloqui fossero per lo più rapidi intermezzi nel ritmo uniforme del lavoro, pure si stabilì tra loro una viva simpatia e una salda amicizia, che il «bandito» del piano di sopra (lo si chiamerà d’ora innanzi l’orientalista per brevità) mantenne in cuore anche più tardi. [...]
Ma De Gasperi non ostentava le grandezze del passato nè lamentava le stranezze del presente. Rispettoso dei superiori senza finto ossequio, cordialmente affiatato coi colleghi senza pencolare nè verso il sussiego nè verso la familiarità, attendeva al suo ufficio colla scrupolosa e disciplinata puntualità cui doveva essersi assuefatto nelle scuole austriache. E di quella che era stata la sua vita e la sua azione politica non faceva mai parola.
Dopo la sua ascesa alla direzione del governo d’Italia, i suoi colleghi del catalogo andavano raccontando che le schede compilate da De Gasperi potevano servire di modello di come un catalogo non va fatto. Ma si trattava certo di uno scherzo bonario, senza ombra di malignità; giacchè se anche forse non tutti gli arcani della scienza bibliografica, imperscrutabili quasi quanto quelli della provvidenza, gli erano stati rivelati nel lungo tirocinio, non gli mancava certo nè l’intelligenza di comprenderli nè la buona volontà di applicarne le norme.
E quando, qualche anno più tardi, l’assunzione alla porpora del venerato prefetto della Vaticana portò De Gasperi al posto di segretario particolare del nuovo prefetto, egli attese alle inconsuete incombenze collo stesso zelo e la stessa semplicità di prima, non sdegnando di riempire e consegnare di sua mano le tessere d’ingresso ai frequentatori della biblioteca o di aprire ai visitatori la porta dell’ufficio del prefetto: signorilmente dignitoso, modesto senza affettazione come quando pazientemente copiava il frontespizio dei libri in arrivo. [...]
Lo stipendio che gli arrivava alla fine del mese non era lauto; eppure perfino quella modesta retribuzione gli era stata invidiata dalla rabbia degli avversari. Quando le relazioni tra la Santa Sede e Mussolini passarono un brutto quarto d’ora per via dei contrasti intorno all’Azione Cattolica e la stampa fascista si ritrovò all’improvviso un’anima anticlericale un giornale d’Italia rimbrottò duramente il Vaticano perchè accoglieva tra gli impiegati della sua biblioteca un miserabile relitto dell’antifascismo quale «il nominato De Gasperi». Al che l’Osservatore Romano, nel suo solito stile pacato, replicò soavemente che l’egregio confratello era in errore: consultasse pure l’organico della biblioteca, non vi avrebbe trovato il nome dell’onorevole De Gasperi. Il che era perfettamente esatto, poichè De Gasperi, in quanto avventizio, non figurava nei ruoli. E colui che era stato oggetto della polemichetta raccontava, ridendo, all’orientalista che un giornalucolo del suo Trentino aveva colto lietamente l’occasione per stampare un titolo su sei colonne: «De Gasperi l’inorganico».
Di politica non si parlava mai. Pareva quasi che nell’austero ambiente di studio l’uno e l’altro dei due amici avessero dimenticato di aver un tempo militato, l’uno da condottiero e l’altro da gregario, in una lotta che ambedue si dolevano di aver perduta, ma non si pentivano di aver combattuta. Ma che in De Gasperi non fosse spenta la passione politica l’orientalista lo riconobbe il giorno in cui quegli, con un sorriso di soddisfazione che gli illuminava il volto allampanato, venne a mostrargli un libro arrivato di fresco dalla Svizzera. Era l’autobiografia del socialista zurighese Fritz Brupbacher, che questi, ben sapendo che non sarebbe potuta penetrare in Italia, aveva avuto l’ingegnosa idea d’inviare in omaggio alla Vaticana perché almeno colà trovasse qualche lettore. Un’opera incendiaria fin dallo stesso titolo, che sonava «Sessant’anni di eresia», e altrettanto poco tenera per le Chiese costituite quanto per la società borghese e per le dittature di qua e di là dalle Alpi.
L’orientalista l’avrebbe volentieri letta subito, tanto più che aveva conosciuto di persona l’autore, ma De Gasperi gli disse che desiderava leggerla prima lui. E qualche giorno dopo gli riportò il libro, tutto quanto larderellato ai margini da vigorosi tratti di lapis nei punti di più attuale e più scottante contenuto politico. Guai se le gelose autorità della Vaticana si fossero accorte che le leggi rigorose intorno alla conservazione dei libri erano state sfacciatamente violate proprio da chi era chiamato a farle osservare! Chi sa che oggi, se qualcuno pensi a tirar fuori dagli scaffali quel volume impresso col segno dell’ardore segreto dell’uomo che più tardi ha tenuto in mano le sorti dell’Italia per così lungo e così fortunato periodo, esso non potrebbe trovar luogo tra i cimeli dell’insigne biblioteca...».
(Giorgio Levi Della Vida, Un cimelio da rintracciare negli scaffali della Vaticana, p. 3)
Sulla testimonianza si confronti: Paolo Vian, Un ebreo tra i monsignori: Giorgio Levi Della Vida in Biblioteca Vaticana (1931-1939), «Miscellanea Bibliothecae apostolicae Vaticanae», XXV (2019), pp. 525-590.