- Fonte:
- G.[abriella] L.[aiatico], Sala “A”, «1945», a. 1, n. 10 (18 ago. 1945), p. 11.
«Discendere quella diecina di scalini che dalla prima parte della sala conducono al grande salone centrale (tempio, cenacolo) significa entrare in un mondo sommerso, penetrare in una vita fuor del tempo, rifugiarsi in una specie di oasi di silenzio ove si ritrova beatamente la sicurezza di un lavoro senza interruzione, senza distrazione; significa scendere nelle profondità dell’io, valorizzare al massimo ogni possibilità lavorativa e cerebrale: perchè c’è in sala A. della Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma un fluido positivo: una specie d’euforia intellettiva aleggia nel silenzio che fascia «una popolazione» raccolta e felice, curva sul proprio lavoro, immemore d’ogni altra realtà, distaccata ed assente dalla vita di fuori. Negli anni di guerra e di lotta Sala A. accoglieva con la più sicura certezza di incolumità tutti gli intellettuali politici braccati per tutta Italia: Franco Antonicelli e Luigi Salvatorelli vi lavoravano in perfetta serenità e qualche ufficiale tedesco, alla vigilia della fuga da Roma, vi rileggeva Byron e Goethe e le inevitabili spie diventavano angeliche scendendo i 10 gradini magici.
Nessun rumore esterno arriva preciso nella sala: le grandi finestre circondate di vite vergine danno su di un giardino chiuso e un poco spettinato dove una fontanella accenna la romantica canzone dell’acqua. I «contradaioli» di sala A. si conoscono, e si ignorano, paurosi di disperdere, anche con un saluto affrettato, con una breve sosta su altri argomenti, il filo delle idee. I posti sono segnati da una tradizionale rispetto, da una tacita solidarietà: chi oserebbe andare a scrivere nel banco di fondo a destra ove passa le sue giornate Maffio Maffi, o al posto di Maria Bellonci, riparato e raccolto? Le spalle volte alla seconda finestra, da quanti anni abbiamo ostinatamente cercato nello studio il mezzo per arrivare alla serenità interiore? E forse non soltanto l’attività dello spirito ma, siamo certe, la preziosa atmosfera di sala A. ci ha dato nei giorni più neri, il senso di una pace vietata, la promessa di un’intangibile armonia stratosferica: qualcosa che somigliava ad una costante preghiera.».
(G.[abriella] L.[aiatico], Sala “A”, p. 11; situata al secondo piano dell’allora sede del Collegio romano, la Sala A della Biblioteca nazionale di Roma era riservata a professori universitari e studiosi, ed ospitava circa 22.000 volumi a scaffale aperto suddivisi per materie. La sigla con la quale è firmato l’articolo è attribuibile a Gabriella Laiatico (o Lajatico), titolare della rubrica Donna; si ringrazia Marcello Ciocchetti per la segnalazione dell’articolo e l’attribuzione all’autrice).