- Fonte:
- Armando Petrucci, Cronache americane: opinioni controcorrente dall’osservatorio californiano, «Biblioteche oggi», (1995), n. 7, p. 66-68.
«È da anni, ormai, che nelle università nordamericane si combatte con accanimento la guerra del "canone letterario", di quel finora fondamentale elenco di grandi scrittori e di grandi opere su cui poggia la struttura portante della cultura occidentale, da Omero ad oggi. [...]
Ciò che, in verità, mi interessa e mi incuriosisce, in questa guerra del canone letterario, è il fatto che nessuno sembra accorgersi che esso, almeno nella sua strutturazione tradizionale, formatasi in Europa nel corso di più secoli, e arricchitasi, per naturali addizioni, negli Stati Uniti di fatto non esiste più da tempo, anche se resiste nella formalità di molti insegnamenti. Per rendersene conto basta percorrere i piani e i corridoi delle immense biblioteche universitarie americane, già ad ogni occasione lodate dai nostri più illustri pellegrini (come Umberto Eco) ed unanimemente considerate il non plus ultra della tecnica biblioteconomica. Com'è noto queste biblioteche (che in genere possiedono tutto il pubblicato dell'ultimo secolo, o almeno danno ad intenderlo) sono ordinate per settori disciplinari, insomma, come si diceva un tempo, per materie, e sono di libero accesso; per cui lo studioso, o lo studente, può entrarvi, percorrerle, scegliere il settore dove studiare e prendere con le sue mani tutti i libri che desidera, per leggerli lì sul posto o portarseli via, giovandosi di un indiscriminato diritto di prestito. Per il fatto di essere appunto ordinata per materie, ognuna di queste biblioteche costituisce di per sé una ideale mappa del sapere scritto; e la collocazione dei libri, la loro giustapposizione, la loro contiguità o separazione costituiscono in esse il frutto di scelte precise, prefigurano precisi orientamenti culturali e li impongono a chi le percorre e vi studia, con la forza indiscutibile e fisica della presenza, della successione, dell'ordine: il canone è in sé e per sé un "ordine dei libri" (Roger Chartier).
Ebbene in queste biblioteche il canone tradizionale non esiste, né è possibile ricostruirlo, spostandosi lentamente o freneticamente da un settore all'altro. La mia personale esperienza è stata un vero e proprio incubo. Ignaro di informatica, dopo essermi reso conto che il catalogo cartaceo (ancora in parte in funzione) è falso, perché le collocazioni sono nel frattempo quasi tutte cambiate e nessuno si è preso la briga di avvertirlo, ho cominciato a percorrere i lunghissimi corridoi della grande biblioteca a mia disposizione con crescente angoscia. Cosa cercavo? I miei libri, la mia mappa, i repertori, i testi, le opere relativi alla cultura scritta della tradizione occidentale e rinascimentale, la teubneriana e Les Belles Lettres per i classici greci e latini, la Patrologia latina del Migne e i Monumenta Germaniae historica, le lettere di Erasmo e la collana "Studi e testi", le Fonti per la storia d'Italia e l’Histoire de l'édition française, i Codices latini antiquiores e i classici Ricciardi della letteratura italiana, ecc. A poco a poco, con inenarrabili fatiche, ho cominciato a trovare qua e là i frammenti di un colossale naufragio e a ricomporlo in una personale mappa manoscritta, che tengo nascosta a tutti, perché ne ho vergogna. La Patrologia latina l'ho trovata (per puro caso) nella grandiosa reference room del piano terra, dispersa in un'immensa colossale quantità di repertori bibliografici; le collezioni dei classici sono dislocate per autore, qua e là; l’Enciclopedia dantesca non è nel settore della letteratura italiana, ma fra le enciclopedie nella reference room, accanto al Larousse e al Dizionario enciclopedico della Treccani; in uno strano settore di storia generale campeggiano l'uno accanto all'altro Genie du Christianisme di Chateaubriand e Sea Power dell'ammiraglio Mahan: due capolavori, ma qual è il collegamento? Ho rinunciato a chiederlo. Particolarmente doloroso mi è risultato trovare il settore della storia romana antica come inizio del settore di storia italiana; non so dove sia la storia greca antica, perché ho rinunciato a cercarla. Godo di qualche gioia quando trovo (per caso, peregrinando con aria attonita fra gli scaffali, con la mia borsetta di tela stretta sul petto) un libro che mi interessa, e che afferro con bramosia; leggo di tutto, mai quello che ho cercato e che non trovo quasi mai. Ho ancora qualche sobbalzo quando trovo l'Archivio paleografico italiano (enorme, costosissimo, raro) in libera consultazione, mentre devo chiedere volume per volume e aspettare un giorno per avere le Chartae latinae antiquiores. Oltre a tutto queste biblioteche non hanno odore; i libri non sanno di nulla; rimpiango le vecchie biblioteche di Roma, di Parigi, di Firenze, di Wolfenbùttel, ove ogni sala ha un suo odore caratteristico, fatto di legno, vecchi libri, vecchie pelli, inchiostri e un po' di antichissima sporcizia; e dove l'ordine dei libri è quello solido e tradizionale, per cui a occhi chiusi posso percorrere alcuni metri e trovare il libro che cerco; a condizione, però, che ci sia ancora!
Il fatto è che i professori che si rispettino, al di qua e al di là dell'oceano, non frequentano più le loro biblioteche; e la tecnologia biblioteconomica ha già per suo conto, inconsapevolmente e (credo) con qualche nascosta allegria, come un bambino pazzo, distrutto il nostro giocattolone, che è inutile tentare di ricostruire.
Chi dirà mai agli studenti di "Comparative literature" che Chateaubriand e Mahan non hanno alcuna ragione di stare l'uno accanto all'altro? E poi, chissà, quei due, a forza di stare accanto, hanno imparato a conoscersi reciprocamente; e così, misteriosamente, per via di fisica confricazione, viene configurandosi un nuovo canone, un nuovo e ancora non decifrabile "ordine dei libri".»
(Armando Petrucci, Cronache americane, p. 67-68).